È stupendo, Emile Ratelband! Non solo in senso proprio, dato che, avendo 69 anni, ne dimostra solo 49, ed è un gran pezzo d’uomo; ma anche in senso figurato, perché un uomo che chiede all’ufficio anagrafe di spostare ufficialmente la propria data di nascita di vent’anni, per poter legittimamente dire di avere 49 anni, argomentando che “se uno può cambiare il nome, può cambiare addirittura il sesso, perché allora non può cambiare l’età?” è stupendo.



Per un verso, mi fa tenerezza, il buon Emile Ratelband. È la vittima perfetta, infatti, del mondo alla rovescia in cui viviamo. Finché il mondo andava come si deve, la giovinezza era un passaggio della vita, poi veniva la maturità, e diventare vecchi era un privilegio, una virtù. Io di anni ne ho solo sessanta, ma da un pezzo, quando qualcuno si azzarda a dirmi “non sei vecchio” (i miei amici ci hanno rinunciato da tempo…), gli salto addosso: “Come, con tutta la fatica che ho fatto a diventar vecchio, adesso mi vorresti togliere la qualifica?”.



Essere vecchi è un privilegio, un titolo di merito, un vanto: sono vecchio e ne vado fiero, e ringrazio Dio di avermi concesso il privilegio di diventare vecchio. Ma “il mondo è fuori dei cardini”, come dice Amleto, e oggi tutto va alla rovescia: la vita è tutta una corsa a restare giovani, a sembrare giovani, a scimmiottare i giovani, il loro modo di comportarsi, di fare, di vestirsi… E allora, c’è da stupirsi che il buon Emile sia travolto dalla mentalità del mondo, e sogni di essere vent’anni più giovane, per poter – lo dice lui – “comprare una nuova casa, guidare una macchina”, e soprattutto non essere snobbato su Tinder, il sito di incontri?



Ma per un altro verso la sua domanda mi suscita una vertigine inquietante. Non so se lui ci ha pensato, ma io non riesco a non farlo. Viviamo nell’epoca dell’assoluta autonomia dell’individuo, del rifiuto di ogni dipendenza. Possiamo – come Emile osserva – cambiare a piacimento nome o sesso. Ma non solo. Ci siamo impadroniti di tutti i fattori prima indisponibili della vita: possiamo decidere quando morire e come, possiamo decidere che tipo di figli avere, con quali caratteristiche somatiche e genetiche. Stiamo lottando per vincere l’ultima dipendenza umana, la mortalità – ho appena letto Essere una macchina di Mark O’Connell, rassegna dei tentativi in corso di prolungare la vita umana all’infinito, trasferire i nostri cervelli su macchine, moltiplicare le nostre capacità ibridandoci con macchinari e simili. Il buon Emile attacca, consapevole o meno, l’ultima roccaforte della dipendenza: il fatto della nostra nascita. Possiamo decidere tutto il resto; ma non quando siamo nati. La nostra nascita non dipende da noi. Inaccettabile, per la cultura dell’individuo sovrano. E allora il buon Emile, consapevole o meno, attacca l’ultimo tabù: perbacco, sarò libero di decidere io quando sono nato, o no? Posso decidere tutto, voglio decidere anche della mia nascita. Non so se è più tenero o più diabolico, il buon Emile…