Bellissima. Se non fosse vera, la storia della canzoncina di Venezia sembrerebbe un racconto di Natale. Ma è vera. I fatti. In una scuola della città lagunare, le maestre chiedono a una bimba di togliere il nome di Gesù da un canto natalizio, per non offendere i compagni di altre religioni. La piccola — dieci anni — non ci sta, e organizza seduta stante una raccolta di firme: tutti i compagni, di ogni credo religioso, firmano: il nome di Gesù può restare.
Che meraviglioso esempio di libertà! Di libertà della bimba, che non accetta quella che percepisce come un’ingiustizia; di libertà dei compagni, che capiscono benissimo che lì, in quella parola, non c’è proprio niente di offensivo, di minaccioso.
Il problema non sono i bambini, che sono semplici, e vedono la verità delle cose; il problema sono i grandi, che ci mettono sopra lo schermo dell’ideologia, dei propri progetti. Lo fanno i laicisti, naturalmente, che da decenni combattono i segni della tradizione cristiana con il pretesto che sarebbero “offensivi”: offensivi per chi, per che cosa? Se alla nostra tradizione appartengono il presepio, il nome di Gesù, perché chi viene da un’altra dovrebbe esserne offeso? Qualcuno chiede loro di crederci, di inchinarcisi? No, semplicemente di guardarci con tutto quel che siamo. Gli strali laicisti peraltro sono indirizzati quasi sempre a senso unico. Per dirla con le parole di un libro da poco uscito, La strana morte dell’Europa di Douglas Murray: “I nuovi arrivati verranno incoraggiati a mantenere le loro tradizioni e i loro costumi, ma gli europei che vivono lì da generazioni continueranno a sentirsi dire che la loro tradizione oltre che obsoleta è oppressiva”.
Ma anche gli antilaicisti, chiamiamoli così, rischiano di non essere da meno, di strumentalizzare segni di un passato a cui non credono più solamente per una battaglia politica: non è a suon di circolari che impongono i crocifissi nelle aule che si rivitalizza la tradizione cristiana, ma solo se ciascuno ricomincia a prenderla sul serio per se stesso. Alla politica tocca il compito di garantire spazi di libertà reali per tutti, come scriveva don Luigi Sturzo quasi cent’anni fa: “Nella libertà per tutti respireremo anche noi”.
Magari con un pizzico di ilarità e di innocenza, come insegnano i bambini di Venezia: davvero “se non tornerete come bambini…”