Proprio nel giorno in cui i romani si sono svegliati sotto una coltre di fumo e un’aria irrespirabile a causa dell’incendio che ha distrutto un capannone per il deposito di rifiuti indifferenziati in attesa di trattamento meccanico biologico nell’impianto gestito dalla municipalizzata Ama sulla Salaria alle porte della capitale, la sindaca Raggi, con un’involontaria battuta, commentando su Twitter un’altra notizia, ha sentenziato incautamente: “il vento è cambiato”. La precaria gestione dei rifiuti a Roma carente in infrastrutture di smaltimento, viene aggravata dalla compromissione dell’impianto danneggiato, uno dei quattro operativi nella capitale.



Tra l’utopistica promessa del vicepremier Salvini di un termovalorizzatore in ogni provincia e il mito dei rifiuti zero, esiste una terza via fatta da un piano nazionale per uscire dalle (consolidate) emergenze e “chiudere il cerchio”. Perché anche raggiungendo gli ambiziosi obiettivi europei che puntano al 65% di riciclaggio per il riutilizzo e recupero della materia, rimane un 25% da destinare al recupero energetico e un residuale 10% da conferire in discarica. Invece nelle 123 discariche operative sul territorio finiscono circa un quarto dei rifiuti urbani prodotti in Italia rispetto all’1% del Belgio, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svezia.



È proprio di questa settimana, la fotografia sulla produzione nazionale di rifiuti urbani rilasciata dall’Ispra, Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale. Nel 2017 la produzione di rifiuti delle famiglie in Italia è calata sotto i 30 milioni di tonnellate a 29,6 milioni, segnando una riduzione dell’1,7% rispetto al 2016. È uno dei dati che emerge dal rapporto presentato lunedì da Ispra alla Camera dei Deputati. Dopo l’aumento riscontrato tra il 2015 e il 2016, dovuto in parte alla modifica dei parametri contabili con l’inclusione nei rifiuti urbani anche dei rifiuti inerti derivanti da piccoli cantieri di manutenzione delle abitazioni, si rileva dunque una contrazione della produzione. Raffrontando il dato 2017 con quello del 2013, si riscontra, nel quinquennio, una sostanziale stabilità della produzione (+0,08%) che si mantiene intorno ai 30 milioni di tonnellate.



Oltre la metà dei rifiuti prodotti viene differenziata. Nel 2017 la raccolta differenziata in Italia raggiunge la percentuale di 55,5%. Più alti i valori al Nord (66,2%), più bassi al Sud (41,9%), mentre il Centro Italia si colloca poco al di sotto della media nazionale (51,8%). Guardando alle diverse situazioni territoriali, sono 13 le regioni che raccolgono in maniera differenziata oltre la metà dei rifiuti urbani annualmente prodotti. È sempre il Veneto la regione con la più alta percentuale di raccolta differenziata pari al 73,6%, seguita da Trentino-Alto Adige con il 72%, Lombardia con il 69,6% e Friuli-Venezia Giulia con il 65,5%.

Notevole lo sforzo delle 5 regioni italiane meno virtuose per colmare il divario. Tra il 2016 e 2017 hanno fatto un balzo di oltre 6 punti nella percentuale di raccolta differenziata, anche se rimangono sotto il valore medio nazionale (55,5%): si tratta di Basilicata (45,3%), Puglia (40,4%), Calabria (39,7%), Molise (30,7%) e Sicilia (21,7%). Il valore più alto in Italia di raccolta differenziata viene raggiunto dalla provincia di Treviso con l’87,8%, seguita da Mantova (86,6%), Belluno (83,4%) e Pordenone (81,6%). È in Sicilia dove si concentrano le più basse percentuali di raccolta differenziata provinciali. Enna (11,3%) rimane il fanalino di coda, mentre a Siracusa (15,3%) e Palermo (17,3%) si è registrato un avanzamento di 6 punti. Per la prima volta dal 2010 si registra un lieve incremento della frazione organica raccolta in modo differenziato: +1,6%. In Italia, la percentuale di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio si attesta al 43,9%, considerando tutte le frazioni contenute nei rifiuti urbani.

Lato infrastrutture per il trattamento dei rifiuti, la situazione è particolarmente disomogenea. In totale nel 2017 funzionavano 644 impianti. La carenza di impianti impone il trasferimento dei rifiuti raccolti in altre regioni o all’estero. Nel 2017 l’Italia ha esportato 355 mila tonnellate di rifiuti urbani. Il 40% è stato mandato in Austria e Ungheria. La discarica come destinazione finale interessa il 23% dei rifiuti urbani prodotti (6,9 milioni di tonnellate) registrando comunque una riduzione del 6,8%. Le discariche operative, nel 2017, sono 123, 11 in meno rispetto all’anno precedente. Il riciclaggio delle diverse frazioni provenienti dalla raccolta differenziata o dagli impianti di trattamento meccanico biologico dei rifiuti urbani raggiunge, nel suo complesso, il 47% della produzione: il 20% è costituito dal recupero di materia della frazione organica (umido+verde) e oltre il 27% dal recupero delle altre frazioni merceologiche.

Diminuiscono anche gli inceneritori: scendono a 39 gli impianti operativi (erano 41 nel 2016). Nel 2017, i rifiuti urbani inceneriti sono quasi 5,3 milioni di tonnellate (-2,5% rispetto al 2016). Il 70% circa dei rifiuti viene trattato al Nord, l’11% al Centro e quasi il 19% al Sud. Tra tutti gli impianti di incenerimento nel 2017 sono stati recuperati quasi 4,5 milioni di MWh di energia elettrica e 2 milioni di MWh di energia termica.

L’analisi economica rileva, a livello nazionale, che il costo totale medio pro capite annuo è pari a 171,19 euro/abitante per anno. Il costo medio pro-capite a carico del cittadino di un comune del Nord è pari a 151,16 euro/abitante per anno, a 206,88 euro/abitante per anno al Centro e a 182,27 euro/abitante per anno al Sud.