Il destino personale o il mistero della vita umana? Si può nascere con un cromosoma in più, che confonde il tuo sistema biologico e blocca le tue funzioni fisiologiche, ti fa vivere male. Un tempo, non molto tempo fa, ti faceva morire anche a 9 anni di vita, in media. Oggi c’è chi può già festeggiare i 70 anni di età, insieme ai suoi cari e a chi gli ha voluto bene nel corso di una vita vissuta anche in condizioni normali.
Stiamo parlando della sindrome di Down, un male scoperto dall’inglese John Langdon Down e interpretato, in quell’epoca ottocentesca, in senso per metà positivistico, per metà razzista. Quella sindrome era, secondo quel ricercatore, una regressione che portava a una rassomiglianza con le popolazioni del lontano Est del mondo, che rendeva simili ai mongoli e, da qui, il gergo terribile di “mongoloide” che ti accompagnava per un’intera vita, quella che ti era concessa dalle medicine e della cure dell’epoca.
Di questo incredibile mistero della vita umana, una malattia degenerativa che tuttavia non ti ruba sensibilità, sentimento e un’affettuosità rara, se ne è parlato alcuni giorni fa al Municipio 3 di Milano, che ha offerto la sua disponibilità, in una sala affollatissima e interessata. Il relatore della riunione era il professor Pierluigi Strippoli, un grande ricercatore in questo campo, che con nozioni scientifiche accessibili a un pubblico non certamente preparato e con ricordi storici precisi ha ricostruito l’iter della scoperta della malattia e le grandi conquiste della ricerca scientifica.
A promuovere questa riunione è stata l’Associazione Péguy, impegnata in dibattiti sull’attualità, ma anche in opere di solidarietà. Il tema su cui è impegnata la “Péguy” in questo momento è molto attraente e coinvolgente: il valore della vita.
Il percorso fatto dal professor Strippoli nella sua relazione è stato un esempio di questo impegno sul “valore della vita”. In effetti dopo le scoperte e le prime ricerche di Langdon Down, Strippoli si è soffermato su una figura incredibile della storia della medicina e della ricerca: il francese Jérôme Lejeune.
Lejeune muore giovane, ma riesce a vivere un’esistenza intensa e raggiunge traguardi incredibili nella ricerca. In più è uno di quei medici e di quei ricercatori che sono, innanzitutto, profondi umanisti, che si battono, metodicamente e quietamente, con l’arma della ragione contro una malattia per il bene della vita che va sempre vissuta. Non è un caso che Lejeune sia stato ammirato da Giovanni Paolo II, che andò a pregare nella sua casa e parlò con la vedova e i suoi numerosi figli. Si dice anche che per Lejeune sia in corso un processo di canonizzazione.
In tutti i casi è proprio con questo ricercatore e medico francese che sono stati fatti passi da gigante nella battaglia contro la sindrome di Down, che ha un nome preciso: Trisomia 21. Lo scienziato francese diventa a un certo punto l’uomo che, insieme ad altri ricercatori, scopre le doti di questi bambini e, finalmente, uomini maturi: il loro affetto, la loro particolare sensibilità, la loro dedizione e la loro ricerca a capire chi sono, a chiedersi come tutti quanti il perché e il senso della vita.
Alcune testimonianze che si sono ascoltate nel corso della riunione organizzata dall’Associazione Péguy sono state particolarmente toccanti. Parlavano genitori che hanno bambini Down, che in un primo momento sono stati quasi storditi dal dolore, ma che poi sono stati letteralmente catturati dalla felicità di un rapporto intenso e vissuto pienamente.
Qualcuno chiede al professor Strippoli: in fondo questa “diversità” è alla fine anche una risorsa. Strippoli pondera la risposta: terreno difficile da esplorare, prima si soffre, poi si supera, poi si vive anche bene.
Forse, un giorno, la ricerca arriverà al punto che il mistero del terzo cromosoma sarà vinto e superato.