Il ministro Giulia Grillo ha scatenato un vero e proprio tsunami sul ministero della Salute: da quando è al governo, niente è più rimasto al suo posto. Dopo un esordio drammatico, definito “Vaccinopoli”, il mondo della salute si è spaccato tra amici e nemici; tra fautori dei vaccini e denigratori degli stessi; tra opinione pubblica nazionale e comunicazione scientifica ad alto livello; tra dati scientifici e fake news. Abbiamo visto sorgere e intrecciarsi problemi che hanno coinvolto scuole e famiglie; aziende sanitarie e aziende farmaceutiche; esperti di varia provenienza e sedicenti tali. Fino al raggiungimento di un equilibrio instabile e poco chiaro, ma sufficiente a far passare in secondo piano i vaccini, lasciando la scena a quella che è definita la più grossa campagna di dimissioni del terzo millennio: tutto affidato alla regia del ministro Grillo, che sta interpretando lo spoil system in modo radicale e assolutamente autoreferenziale.
E’ come se l’onda lunga del cambiamento stesse spazzando via esperienze e competenze in tutti gli organismi tecnico-scientifici che tradizionalmente supportano il ministro e il ministero nelle decisioni da prendere.
La prima poltrona saltata è stata quella dell’Aifa, con Mario Melazzini dimissionato ante tempo. Lungo tutta la precedente legislatura i rapporti tra Giulia Grillo, a lungo capogruppo M5s in commissione Sanità e il presidente dell’Aifa sono stati tutt’altro che idilliaci, come conferma il numero di interrogazioni e interpellanze che gli sono state rivolte. Questione di feeling e di numeri; di fiducia e di capacità di ascolto, perfino di carattere. La Grillo con un’opposizione agguerrita ha cercato di evidenziare tutte le carenze e le contraddizioni dell’Aifa, mettendo tutto, ma proprio tutto, in carico a Melazzini, a cominciare dal mistero dei misteri: come si stabilisce il costo di un farmaco; chi lo negozia; quanto deve essere trasparente la procedura con cui viene fissato eccetera. Nessuna risposta, per quanto chiara e documentata, era mai soddisfacente. Sussisteva un pregiudizio di fondo, frutto di una vera e propria cultura del sospetto. Era facile quindi prevedere l’automatismo: qualora la Grillo fosse diventata ministro, per Melazzini non c’erano alternative. Triste storia di un dimissionamento annunciato.
Poi è toccato all’intero Consiglio superiore della sanità (Css), dimissionati in anticipo, rispetto alla scadenza naturale, con lettera di un alto dirigente del ministero. Una lettera formalmente corretta, in cui tra le righe si fa riferimento alla necessità di rinnovare il Css, arruolando nuovi membri dal curriculum prestigioso, per dare maggior lustro al Consiglio superiore della sanità. In realtà i membri del Css, in genere, sono scelti uno ad uno, con un controllo meticoloso dei loro curricula sotto il profilo scientifico e con una sufficiente indipendenza di giudizio rispetto alle logiche politiche.
Il Css era stato rinnovato da poco, con qualche naturale sostituzione e con una revisione rigorosa delle eccellenze presenti, a garanzia del peso specifico delle loro proposte. Ma ciò non è servito davanti all’ostinata volontà di cambiamento del ministro, apparentemente deciso a fare piazza pulita di tutto ciò che l’aveva preceduta. Via, quindi, i vecchi membri; via la loro esperienza; via la metodologia di lavoro e di collaborazione con la pubblica amministrazione. Tutto accantonato, con un generico ringraziamento per i servigi resi e nulla più.
La sensazione è che tutto stia cambiando per una logica che ha poco a che vedere con un nuovo disegno organizzativo che preveda modelli gestionali ispirati a un effettivo efficientamento del Sistema sanitario nazionale.
Del tutto comprensibili appaiono, quindi, le dimissioni di Valter Ricciardi, presidente dell’Iss, che in questo modo ha dignitosamente anticipato un possibile licenziamento. Cosa quest’ultima difficilmente giustificabile, tenendo conto dell’eccellenza del lavoro svolto in questi anni e del suo riconoscimento a livello internazionale. Ma assai meno prevedibili appaiono, però, le altre dimissioni che sono seguite. Da quelle di Giuseppe Remuzzi, presidente del Mario Negri, a quelle di Armando Santoro e Francesco Vitale, membri autorevoli del Comitato scientifico.
Il ministro Grillo nega qualsiasi interferenza e condizionamento. Ma intanto trapela il timore che l’Iss, che pure vanta un riconosciuto primato come istituto di ricerca pubblica, in Italia e in Europa, possa non vedere sufficientemente garantita la sua indipendenza sul piano scientifico. Gli interessati smentiscono qualsiasi notazione polemica e il ministro ribadisce la sua posizione di terzietà. Ma se ansia e timore sono fortemente soggettivi, i fatti finora descritti parlano chiaramente e rivelano un clima di instabilità che spinge le persone a muoversi verso altri enti e istituzioni. Il loro prestigio li rende estremamente attrattivi per la qualità della ricerca e la capacità di attrarre risorse anche sotto il profilo economico. Chiunque, qualunque istituzione sarebbe ben felice di arruolarli in progetti di ampio e profondo respiro.
Ed è questa la sfida che la Grillo è chiamata a giocarsi ora: ricostruire un’alleanza virtuosa con il mondo della ricerca scientifica, sulla base della Ebm; ottenere da loro un consenso informato, senza farsi assorbire dai modelli operativi così cari ai due vicepremier, che cedono facilmente a forme di bullismo politico, convinti di potersela cavare sempre, nonostante appaiano a tutti fin troppo prepotenti e autoreferenziali.
La ricerca ha altre logiche; procede per prove ed errori; verifica attentamente le sue ipotesi; ha grande rispetto per i fatti e cerca che non si trasformino in misfatti, come è recentemente accaduto con la legge di bilancio e con quel che sta ancora accadendo. La salute degli italiani è una cosa troppo seria per limitarsi ad affidarla ad amici misurati dal livello di fedeltà al capo… Serve un rigore scientifico che abbia il coraggio dell’indipendenza di giudizio per rispondere solo alla grande verità sull’uomo che è il rispetto per la sua vita e la sua dignità.
N.B. E se il ministro, invece di capovolgere tutti i suoi organismi tecnici, si concentrasse sul Piano nazionale delle malattie rare e si decidesse finalmente a pubblicarlo? Sarebbe un bel segnale di cambiamento: il Piano manca da tre anni, i malati lo aspettano con ansia, e potrebbe farci lavorare tanta gente in gamba, la cui competenza è riconosciuta a livello internazionale…