Sono racchiuse in 374 pagine le motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo per Matteo Cagnoni, il dermatologo dei vip, accusato di aver ucciso la moglie Giulia Ballestri nella villa di famiglia di Ravenna, disabitata da tempo, il 16 settembre del 2016. Il giudice estensore Andrea Galanti e il presidente della Corte, Corrado Schiaretti, entrano nei dettagli di quell’omicidio spiegando come sia stata proprio “la natura zoppicante, cangiante, fallace oltre che mistificatoria e per la gran parte menzognera” di quanto dichiarato da Cagnoni, ad aver “spesso instradato l’operato” dell’accusa. Quest’ultima, come riportato da Il Resto del Carlino, “proprio seguendo le tracce dichiarative di Cagnoni, ha introitato notevoli e anche decisivi supplementi investigativi“. Ed è questo uno degli elementi di novità emersi dalla lettura delle motivazioni, che forniscono anche una ricostruzione dell’omicidio in parte inedita. La 39enne Giulia Ballestri, secondo i giudici, venne infatti scaraventata dalla furia dei colpi di Cagnoni ben oltre la balaustra del ballatoio, e cioè di fronte ai quadri usati dinanzi ai quali era stata aggredita e che, per l’accusa, erano stati il pretesto per attirarla nella vecchia villa e ucciderla.



MATTEO CAGNONI, ERGASTOLO PER OMICIDIO GIULIA BALLESTRI: LE MOTIVAZIONI

Nelle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo di Matteo Cagnoni, oltre alla prova “genetica” (ovvero tutti i reperti isolati dalla Scientifica che riconducono al dermatologo) e a quella “botanica” (cioè il tronco di pino asportato dalla villa di Marina Romea e utilizzato per uccidere la donna), i giudici sottolineano come anche gli ultimi giorni da uomo libero di Cagnoni siano stati “costellati da una tale pletora di comportamenti comunicativi” che anche se considerati autonomamente, avrebbero costituito “prova della sua responsabilità per l’omicidio“. Secondo i giudici, insomma, “la verità processuale che si consegna” alla Corte, “è quella che vede Matteo Cagnoni avere definitivamente marchiato con il rosso del sangue con entrambe le mani, la propria responsabilità“. Un riferimento neanche troppo velato alle tracce palmari rimaste impresse sul sangue di Giulia e per la Corte d’Assise di Ravenna riconducibili proprio al marito della vittima.

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