Il terzo appuntamento dei documentarti sui Grandi Papi della modernità vede per la serata di oggi su Nove l’esperienza, il magistero e le testimonianze sulla vita di San Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla: un Pontefice polacco che a soli 58 anni diventa capo della Chiesa e si rende partecipe di una delle più grandi rivoluzioni del XX secolo, ovvero il ritorno a Cristo tramite un fascino e una libertà che si concretizzavano e incarnarono in quel “Atleta di Dio” tanto come fine come teologo (si avvaleva spesso della compagnia e vicinanza di Joseph Ratzinger, ndr) quanto come straordinario uomo di fede che ha saputo annunciare al mondo intero la “buona novella” di Gesù. “Giovanni Paolo II – Woytjla, L’atleta di Dio”, si intitola il terzo documentario sulla vita dei Papi, dopo i successi delle scorse settimane su Francesco e Benedetto XVI: dalla montagna ai grandi viaggi per il mondo, dalle accuse contro la Mafia al tentativo di mediare sull’asse Washington-Mosca fino ovviamente alla preghiera e costante vicinanza alla sua Polonia (qui decisiva l’esperienza dei suoi amici alla guida del sindacato cattolico Solidarnosc che osò sfidare il potere dittatoriale del comunismo). Papa Wojtyla era un uomo a 360°, capace di affascinare ad un solo sguardo e in grado di trasportare il peso della croce (la malattia e l’attentato del 13 maggio 1981) avendo come unica stella polare, sempre, il Signore Cristo Gesù.



WOJTYLA E LA BOTTEGA DELL’OREFICE

Prima di divenire cardinale di Cracovia, l’allora Karol Wojtyla ebbe modo di adoperarsi senza sosta per la salvezza e la causa del cattolicesimo nella Polonia devastata dalla Guerra Fredda: con l’instancabile dedizione del “prete semplice” Giovanni Paolo II – divenuto Santo in tempi rapidissimi per volere dell’amico e successore Benedetto XVI (oltre che dell’intera piazza il giorno dei suoi funerali, nell’aprile del 2003) – riuscì con una finissima opera di mediazione e diplomazia a sgretolare il Muro di Berlino, facendo deflagrare quella inconsistente duplice ideologia dei due schieramenti (guerrafondai e consumisti sfrenati in Occidente, abolizione della libertà personale in Oriente). Non fu però solo politica, anzi: il nucleo del Pontificato di Papa Wojtyla riguardava la conversione in Cristo tramite gli imprescindibili cardini di cui dispone l’umana coscienza, amore e libertà. «Il matrimonio come via alla santità, al pari della vocazione alla verginità», si legge all’interno del meraviglioso testo teatrale scritto da Karol Wojtyla nel 1960 (quando era ancora Vescovo di Cracovia) “La bottega dell’orefice”. Sì, era un Papa poeta (oltre che grande appassionato di calcio, portiere in giovanissima età nella sua Cracovia) che tramite il racconto dell’affettività umana sapeva rendere il cristianesimo assai più moderno di qualsivoglia altra “religione”: «l’amore coniugale sa unire ciò che è diviso, può riempire di una presenza il desiderio umano e la domanda di compiutezza», sottolineava molto bene Giovanni Fighera in una scheda su La Nuova Bussola Quotidiana.



“NON ABBIATE PAURA, SPALANCATE LE PORTE A CRISTO”

«Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!»: lo diceva proprio Giovanni Paolo II forse nella sua citazione più ricordata (e spesso più abusata). Lo diceva nella sua prima omelia all’inizio del Pontificato, il 22 ottobre 1978 (il “Se mi sbaglio mi corrigerete” dalla loggia di San Pietro lo disse solo pochi giorni prima, il 16 ottobre) quando volle sottolineare il metodo di Gesù per l’uomo di oggi come di ieri: porte spalancate alla politica, alla società ma prima di tutto al cuore di ognuno. Aprire il proprio Io all’arrivo di Dio, l’unico in grado di rendere quel “soggetto” un vero protagonista libero nella storia dell’umanità: «Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna». Sono in tanti oggi, non da ultimo chi vi scrive, che grazie a quell’abbraccio “educativo” del Santo polacco hanno saputo rimanere nella scia della fede cristiana non con cuore “arido” ma rinnovato ogni giorno dall’affetto e dall’amore di Gesù per la propria vita attraverso i volti che ci circondano. Wojtyla ha aiutato a spalancare le porte, ha ricordato alla libertà dell’uomo il fascino di un destino buono che compie per davvero tutto il dramma e il bisogno dell’umana persona.

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