CATANIA — Ci sono situazioni, eventi eccezionali, istanti fuori dal comune, in cui il tempo sembra distorcersi e intraprendere un corso imprevisto. Può succedere senza preavviso – nella grande città o nel paese più sperduto – che i secondi e i minuti appaiano interminabili, sospesi, come l’incertezza di chi si trova ad affrontarli. È ciò che è accaduto in provincia di Catania nella notte tra il 25 e il 26 dicembre, una notte eccezionalmente scandita non dal ticchettio delle lancette, ma da suoni ben più insoliti e sinistri: l’oscillazione di un appendiabiti, la frana di libri giù dagli scaffali, il frenetico sbattere di cancelli e tapparelle, le grida di chi, da subito, ha pensato di mettersi in salvo in strada. Dopo appena un minuto, la terra ha smesso di tremare, certo, ma non altrettanto si può dire di coloro che, sbalzati dal letto, si sono ritrovati immersi in un vero incubo. Il bilancio dei feriti è cresciuto col passare delle ore e le macerie di ciò che è andato distrutto nei centri più colpiti – Fleri, Santa Venerina, Acireale, Zafferana Etnea, Viagrande, Trecastagni – come testimonianze di un Santo Stefano che nessuno avrebbe immaginato, giacciono ancora al suolo, ma, per fortuna, non ci sono vittime ad appesantire ulteriormente i cuori.
E dire che a Catania il Natale era trascorso all’insegna della festa, dei nasi volti all’insù per tentare di scorgere, dietro la fitta nube nera che si erge tutt’ora dalla sommità del vulcano, lo spettacolo della fontana di lava zampillante, simbolo di quel periodico risvegliarsi del maestoso Etna che i catanesi sono soliti accogliere con un indefinibile misto di letizia e di timore. La tumultuosa attività vulcanica, con la sua vivacità e la sua impulsività che quest’anno era venuta ad associarsi alle celebrazioni natalizie in grande stile, in effetti, rappresenta il popolo etneo come poche altre cose, ma al tempo stesso lo irretisce, lo paralizza, perché lo rende consapevole della sua impotenza di fronte ai capricci di una natura che sempre meno rischiamo di comprendere e imbavagliare.
Un tema complesso e antico, che per siciliani, e per i catanesi in particolar modo, è intensamente sentito: la nottata di passione che ci lasciamo alle spalle somiglia a quelle dei racconti che ci portiamo dietro fin da bambini e che ci appaiono coi colori della cenere e della lava solidificata. Numerosi abitanti di Zafferana Etnea hanno dichiarato di aver dormito vestiti, dal momento che si attendevano un episodio sismico dopo le eruzioni dell’Etna. Che il nesso tra i due fenomeni sia reale è stato confermato dagli esperti dell’Ingv, ma le confessioni di chi, da un momento all’altro, si è visto costretto a lasciarsi dietro veri e propri frammenti di vita intrappolati tra le crepe dei muri e dell’asfalto, confermano una volta di più che la storia di Catania non può fare a meno di somigliare ad un pendolo oscillante tra la magnificenza e la tragicità, tra il godere della bellezza di una terra unica e la preoccupazione derivante da quella stessa bellezza, tra il desiderio di guardare avanti e l’ombra dei disastri passati.
Nei prossimi giorni la conta dei danni sarà certamente più accurata, le dichiarazioni dei politici di turno faranno a gara per promettere interventi rapidi e risolutori, giusto prima di tornare a battibeccare su percentuali relative a deficit, Pil ed Europa. Nel frattempo, nel piccolo di quei paesi divenuti, da oggi, un po’ più tristemente noti all’opinione pubblica, circuiti di soccorso e solidarietà si mobiliteranno per rincuorare chi ha rischiato di perdere tutto e risollevare chi, invece, non è stato altrettanto fortunato da cavarsela solo con uno spavento.
E mentre osservo ciò che resta di chiese pregiate, di autostrade inagibili e voci ancora spezzate dalla paura, mi vengono in mente le parole di un bravissimo attore nonché nostro concittadino, Giuseppe Castiglia, che in una canzone dedicata alla città dell’elefante scriveva: “Catania per via della guerra, Catania sepolta, distrutta e per sette volte rinata”. E su queste parole non posso fare a meno di chiedermi come sarà l’ottava rinascita, fino a quando una nuova eruzione ci metterà di fronte al nostro essere catanesi.