“Non trova alcun riscontro l’informazione di 50 combattenti stranieri approdati sulle coste italiane appartenenti all’Isis e pronti a compiere attentati”, ha affermato il Viminale con una nota del Dipartimento della Pubblica Sicurezza dopo che il quotidiano inglese The Guardian aveva pubblicato una notizia in cui si diceva che, secondo l’Interpol, 50 foreign fighters appartenenti all’Isis erano sbarcati in Italia tra i mesi di luglio e ottobre scorso. Quello che, nonostante la smentita del nostro ministero, lascia sconcertati è la fonte della notizia. Il Guardian è probabilmente il più serio quotidiano inglese, che difficilmente citerebbe l’Interpol se la notizia non avesse qualche fondamento. Ne abbiamo parlato con il generale Mario Mori.



Generale, il Viminale ha smentito, ma la fonte della notizia è piuttosto attendibile. Si tratta di una “toppata” degli inglesi o del Viminale, secondo lei?

C’è da dire che negli ultimi mesi sono stati segnalati barconi provenienti dalla Tunisia con a bordo piccoli gruppi che hanno raggiunto Sicilia e Sardegna. Non i classici gommoni o bagnarole cariche di migranti, ma imbarcazioni di tipo consistente. Non è da escludere che a bordo ci fossero persone legate alla jihad, ma il Viminale ne era al corrente, tanto che ha parlato nel suo comunicato di “un esiguo numero di persone” segnalate dalle autorità di Tunisi, che sono già state rimpatriate.



Dunque il pericolo reale che foreign fighters cerchino di arrivare in Italia c’è, a parte la notizia data in modo superficiale dagli inglesi?

Il ministro Minniti lo ha spiegato bene già da tempo. Fino a quando è esistito il sedicente stato islamico, non era concepibile che mandassero miliziani addestrati in Europa. Dopo la caduta del califfato e la conseguente diaspora dei miliziani non è da escludere che usando le modalità stesse dei migranti alcuni di loro cerchino di arrivare in Europa per trovare il modo di compiere azioni terroristiche.

Quanto ritiene alto questo pericolo?

E’ una possibilità piuttosto remota ma il rischio ovviamente va calcolato. Personalmente ritengo sia più facile che qualche emigrato arrivato in Europa che non è riuscito a trovare il modo di essere incluso, che è rimasto per strada e senza lavoro, che non ha trovato quello che sperava di trovare, si rivolga allo jihadismo come espressione della sua rabbia. Arrivare con il gommone mi sembra un mezzo abbastanza impraticabile.



Supponendo che qualcuno di loro sia arrivato, secondo lei usa l’Italia solo come luogo di transito per colpire altrove, o siamo noi l’obiettivo? Ancora recentemente l’Isis ha rivolto ai lupi solitari l’invito a colpire Roma.

E’ certamente più appetibile per loro un obbiettivo in Francia, Germania o Regno Unito. Lì esistono comunità islamiche molto più numerose che da noi dove possono trovare rifugio e copertura. Di colpire Roma se ne parla da anni, ma è un dato di fatto che nessuno ci ha mai provato.

Questo perché secondo lei?

Il controllo da parte delle autorità nei paesi del Nord Europa è efficiente, ma meno di quello italiano, noi poi abbiamo normative che permettono di allontanare dal paese i sospetti, all’estero invece hanno normative più complicate. L’Italia è un territorio difficile per chi viene in Europa a fare il terrorista.

Ci sono però stati casi in Italia di jihadisti residenti qui da noi, ad esempio quello recente di un padre che aveva convinto il figlio ad andare a combattere in Siria.

Questo è vero e ci sono riscontri in questo senso. Sono musulmani di seconda o terza generazione che non si sono adattati alla nostra realtà o sono stati sollecitati da una famiglia che pur vivendo qui da tempo è rimasta rigidamente legata all’islam più radicale. Tutto sommato però sono episodi nettamente minoritari e la nostra intelligence è efficace, inoltre abbiamo un’attività preventiva che funziona bene. Dobbiamo sperare che sia tale anche in futuro.

(Paolo Vites)