Un bambino pachistano di 8 anni si è tolto la vita dopo il rimprovero del padre. Un fatto che lascia increduli, per il quale cercare un orientamento nelle statistiche non serve, perché i suicidi infantili sono tanto drammatici — clamoroso quello di Samantha Kuberky che si è tolta la vita a sei anni in Oregon nel 2009 — quanto ininfluenti dal punto di vista numerico. Ma il piccolo Omar, lo chiamo così come un bambino pachistano realmente conosciuto in un centro di accoglienza per madri in difficoltà con i loro figli, non era un numero e neppure gli altri rarissimi casi di bambini, sotto i dieci anni, che si sono tolti la vita.
Omar a scuola andava, e andava bene. Il preside è costernato e non sa indicare neppure l’ombra di un possibile motivo. Eppure chi ha confidenza con i banchi di scuola e ha un po’ di passione per l’ascolto del pensiero del bambino, non solo per trasmettere a lui qualcosa ma anche per ricevere qualcosa da lui, la frase “allora mia madre/mio padre mi uccide”, pronunciata dopo un brutto voto, una nota, una sospensione, una pagella deludente potrebbe averla sentita. Magari sorridendo subito dopo, pensando a un’iperbole infantile. Mentre questo pensiero ci informa che nella mente del bambino, tutta intenta a dare un senso al proprio mondo di relazioni, la disapprovazione, o il non sentirsi ascoltato, o l’essere soverchiato nel rapporto con l’adulto, configurano atti, situazioni e esperienze mortificanti. Ci informa anche che nella mente di un bambino i grandi sono oggetto di un’importante distorsione: sono idealizzati, diventano giganteschi e con loro il peso delle loro lodi e dei loro rimproveri. È la dinamica che permise a Freud di scoprire il super io, dal quale l’io, a partire dal bambino, si sente sgridato, svalutato, irriso, mortificato, in una parola annichilito, in un modo che il padre e la madre reali non si sognerebbero neppure, salvo il caso — che non si può escludere — di genitori perversi.
Omar era stato sgridato davanti ai fratelli in una situazione domestica comune. La privacy in famiglia, si sa, non è facile da preservare. Il motivo di questo dissapore col padre non è noto, ma sembra che Omar a scuola quel pomeriggio non ci volesse tornare. L’uomo, chiamato a dirimere la situazione a pranzo, prima di tornare al lavoro, credendo forse di prendere la via più breve si è imposto: “a scuola ci devi andare”. Un’impuntatura costata cara e col senno di poi forse evitabile. Un pomeriggio di pausa e di riflessione avrebbe giovato al padre e al figlio. Per riparlarne a mente fredda c’è poi la cena, e se non bastasse la colazione il giorno seguente… Il tempo è una risorsa disponibile a cui occorre saper accedere e di cui occorre sapersi avvalere. Un tempo che Omar, negandolo impulsivamente a se stesso, ha negato ai suoi di casa, ma anche ai suoi compagni e insegnanti, confidandosi coi quali avrebbe potuto lenire i microtraumi della vita famigliare.
Che toni abbia usato il padre e quali frasi, per aver ragione delle rimostranze del figlio, non lo sappiamo. Neppure sappiamo perché Omar a scuola non ci volesse tornare. Chissà, forse per una cosa banale, forse no. Ma la rabbia infantile dopo un rimprovero secco, senza diritto di replica, quella la conosciamo tutti. Omar deve averla covata mentre si chiudeva in camera per protesta, mentre saliva sull’armadio per buttare il suo corpo di sotto legato alla sciarpa. Posso solo immaginare i suoi pensieri adirati rivolti al padre che gli attraversavano la mente come saette incontrollabili. Pensieri di cui vergognarsi all’istante, fino a infliggersi la massima punizione che Omar, infliggendo a se stesso, ha inflitto anche agli altri, perché il dolore di una madre o di un padre per la perdita di un figlio un bambino di otto anni lo ha già interiorizzato da molto tempo.
A otto anni la Chiesa ammette il bambino alla prima confessione. Un’idea del bambino rivoluzionaria. Di certo non un’idea ingenua, che regala al bambino un’innocenza che non ha, ed è ancora tutta da conquistare. E gli adulti? Gli adulti, anche se di un’altra cultura, potrebbero allenarsi con il Padre Nostro, in particolare pensando attorno a quel “non ci indurre in tentazione”, anche nella variante prevista dalla nuova traduzione “non permettere che la tentazione lo travolga”, come è accaduto a Omar e come può sempre accadere ai suoi fratelli uomini piccoli e grandi.