Quel che mi colpisce, della vicenda di Macerata — l’assassinio della povera Pamela Mastropietro, la lucida follia di Luca Traini, il balletto delle manifestazioni e contromanifestazioni — non sono i fatti in sé. Dai tempi di Caino e Abele gli uomini si ammazzano. Dai tempi di Noè il mondo si divide in amici e nemici, bianchi e neri, buoni e cattivi. Dalla notte dei tempi la legge fondamentale degli umani è “occhio per occhio, dente per dente”. Gli umani si sono sempre ammazzati, nei modi più orribili, hanno sempre addossato agli stranieri la colpa di ogni male, hanno sempre vendicato il torto fatto a un membro della propria tribù colpendo i membri della tribù avversa. Niente di nuovo sotto il sole, direbbe la Bibbia.
Quel che mi colpisce della vicenda di Macerata è la totale assenza della pietà. Pietà per la povera Pamela, diciott’anni di tribolazioni e sofferenza. Pietà per la mamma — chissà cosa dev’essere stata per lei la vita, prima ancora della morte, di quella povera figlia — gettata in pasto alle telecamere col suo comprensibile rancore. Pietà per Innocent Oshegale, nigeriano, chissà che storia alle spalle prima di arrivare a fare lo spacciatore a Macerata. Pietà per Luca Traini, uno spostato che ha fatto della vendetta una ragione di vita. Nessuna pietà per nessuno: tutti si sono gettati su questi poveri donne e uomini solo per affermare il proprio progetto, il proprio punto di vista, il proprio potere. Per dare la colpa agli immigrati, per dare la colpa ai fascisti. Io dico che la colpa è dei politici, tutti (o quasi). E dei giornalisti.
Dei politici, perché da quando mi ricordo io — e sono vecchio — non fanno altro che alimentare l’odio, che dire che la colpa è degli “altri”, dei fascisti o dei comunisti, di Berlusconi o di chi volete voi. E anche i 5 Stelle, che dicono che la colpa è dei politici, partecipano allo stesso gioco: tutti non fanno altro che alimentare l’odio, il fanatismo, l’intolleranza. L’importante non è fare il bene del Paese, l’importante è sconfiggere il nemico. E se i politici alimentano, colpevolmente, un clima da “dagli all’untore”, non c’è da stupirsi se alla fine si trova un povero mentecatto che a quell’incitamento dà corpo. E tutte le manifestazioni e contromanifestazioni non fanno che alimentare il clima di odio reciproco.
E dei giornalisti, che colpevolmente alimentano un sentore di terrore sociale. I dati del ministero dell’Interno dicono che, da anni, tutti i reati — tutti, dagli omicidi alle rapine, dai furti negli appartamenti agli scippi — sono in diminuzione. Ma la percezione della gente è che la situazione peggiori. Di chi è la responsabilità, se non di chi dà le notizie e del modo in cui la dà?
“I poveri li avrete sempre con voi”, diceva Gesù. E, presumibilmente, anche i drogati e gli assassini. E allora? Da dove si può ricominciare? Ci sono realtà, ci sono luoghi — quello che aveva cercato di accompagnare la povera Pamela è uno dei mille — che accolgono i ragazzi, che accolgono gli ultimi arrivati, che provano a dare agli uni e agli altri un sostegno, una speranza. Ai politici dobbiamo chiedere che aiutino questi luoghi, che si mettano al servizio di questi luoghi e ne favoriscano la crescita, anziché usare i drammi per sparare proclami. Ai giornalisti dobbiamo chiedere che raccontino la vita, il buono che c’è, anche il male, ma con verità. E a noi — a me — di andare a votare, per quel poco che conta, con la testa e non con la pancia, mettendo la croce sulla scheda di chi prova a costruire e non di chi strumentalizza il dolore per dividere.