Un gruppo di ricercatori dell’Università di Edimburgo, della divisione di oncoematologia dell’ospedale pediatrico di questa città e di un centro di procreazione medicalmente assistita di New York, guidati da Evelyn Telfer, ha pubblicato sulla rivista Molecular Human Reproduction i risultati di una ricerca che aggiunge una ulteriore possibilità al già ampio spettro della manipolazione in laboratorio dei gameti in vista della generazione extracorporea di embrioni umani. È un traguardo biotecnologico ed un punto di partenza biomedico cui si stava lavorando da anni e che, se confermato da studi indipendenti, potrebbe riaprire un discusso capitolo della procreatica umana, foriero di drammatici interrogativi non solo clinici, ma anche, e soprattutto, antropologici, etici, sociali e giuridici.



Da dove nascono queste ricerche? I progressi nella terapia dei tumori, che consentono di raggiungere risultati molto positivi anche nei bambini, adolescenti e giovani maschi e femmine, permettono oggi ad crescente numero di essi di raggiunge l’età in cui decidono di sposarsi o convivere e di mettere al mondo dei figli. In un approccio clinico integrato alla malattia oncologica nei pazienti prima o all’inizio della loro età fertile appare quindi appropriato includere anche una strategia che le linee guida internazionali chiamano fertility preservation (“conservazione della fertilità”). Lo scopo è consentire che, dopo il trattamento antineoplastico, essi possano diventare genitori. Le terapie contro i tumori, in particolare la chemioterapia con agenti alchilanti e la radioterapia, arrivano a provocare danni estesi alla riserva naturale di spermatogoni e di ovociti, rendendo così infertile l’uomo per un difetto testicolare della spermatogenesi (azoospermia o grave oligozoospermia) e la donna per una insufficienza ovarica prematura (la mancata o ridottissima capacità ovulatoria). Anche malattie non oncologiche, quali quelle autoimmuni o che causano un depletamento dei precursori dei gameti, pongono lo stesso problema.



Per affrontarlo clinicamente, nel caso dei giovani maschi fertili la procedura elettiva è la raccolta e la crioconservazione del liquido seminale prima dell’inizio della terapia. Nei ragazzi prepuberi e nei giovani con insufficienza spermatica è possibile la biopsia testicolare e la crioconservazione di tessuto germinale immaturo. Mentre con gli spermatozoi conservati è già praticabile sia l’inseminazione in vivo (assistenza al concepimento naturale) sia la fertilizzazione in vitro per ottenere embrioni da trasferire in utero, per le cellule germinali immature prelevate dai tubuli seminiferi non vi è attualmente un tecnica clinicamente validata che consenta di ottenere embrioni capaci di sviluppo sicuro e con risultati confrontabili con quelli degli embrioni generati da spermatozoi. Sono in corso di sperimentazione, sinora senza i risultati attesi, sia il reinnesto del tessuto germinale dopo la terapia antitumorale che la spermatogenesi in vitro. 



Nella giovane donna fertile, la raccolta e conservazione degli ovociti maturi è già disponibile. Presenta però due limiti. Il primo è rappresentato dal modesto numero di follicoli maturi prelevabile in ogni ciclo ovarico (anche iperstimolato), che non consente di costituire in vitro una riserva estesa di gameti femminili. Il secondo riflette il fatto che il successo della loro crioconservazione è assai inferiore a quello dei gameti maschili, anche con le più recenti tecniche, chiamate di “vitrificazione”. Il trapianto autologo di tessuto ovarico germinale prelevato prima della terapia oncologica è possibile, ma nel caso di un tumore ovarico vi è il grave rischio di reintrodurre nell’organo femminile, attraverso questo tessuto, anche la causa della malattia tumorale curata in precedenza.

I ricercatori di Edimburgo e New York hanno ottenuto in vitro ovociti secondari umani maturi — allo stadio di metafase II (quello in cui essi si trovano all’ovulazione nella donna) e con formazione del globulo polare (che ulteriormente documenta la loro competenza meiotica) — a partire da colture unilaminari di follicoli ricavate da dieci biopsie ovariche corticali provenienti da volontarie sane ed eseguite nel corso di un parto cesareo elettivo. Se verrà confermato in altri laboratori, questa tecnica di isolamento, coltura e maturazione di follicoli ovarici potrebbe configurare in futuro il seguente scenario. 

Anzitutto, nel caso in cui venisse provata la capacità di questi ovociti di dare origine ad embrioni non portatori di difetti dello sviluppo, quello di mettere a disposizione un considerevole numero di ovociti potenzialmente utilizzabili per fecondazioni artificiali omologhe (per le stesse pazienti oncologiche) o eterologhe (per coppie etero- o omosessuali che richiedessero la donazione di ovociti), aggirando così l’ostacolo dell’attuale scarsità di gameti femminili. Ma non si può escludere anche l’eventualità di esperimenti di clonazione umana per trasferimento di nucleo di cellule somatiche (Scnt), i cui tentativi sono stati sinora frenati biotecnologicamente — ancor prima che eticamente e giuridicamente — oltre che dalle difficoltà e dai difetti nello sviluppo a termine e postnatale dei mammiferi clonati, anche dalla scarsa disponibilità di ovociti umani maturi.

Per questa ragione, nonostante la coltura e la maturazione in vitro di gameti umani non sia in sé stessa intrinsecamente illecita (non si tratta di un organismo umano embrionale che si sta sviluppando ma solo di cellule del corpo umano), questo tipo di interventi biotecnologici è eticamente inammissibile e giudicato negativamente dalla Chiesa in quanto materialmente e formalmente coinvolto nella pratica della generazione in laboratorio di embrioni umani, intenzionalmente separata dall’atto di amore coniugale tra la donna e l’uomo e irrispettosa della vita e della dignità del concepito. Come afferma l’Istruzione Dignitas personae (2008), se “la crioconservazione di ovociti in ordine al processo di procreazione artificiale è da considerare moralmente inaccettabile” (n. 20), per la stessa ragione è inaccettabile la produzione in laboratorio dei medesimi ovociti.

Inoltre, per verificare la fecondabilità di questi ovociti maturati in vitro, sarebbero necessari numerosi esperimenti di fertilizzazione, con la manipolazione e soppressione di esseri umani allo stadio di sviluppo embrionale, generati per un uso meramente strumentale alla validazione di una biotecnologia riproduttiva, e dunque condannabile come gravissima violazione dei diritti umani del concepito.