Il “normale avvicendamento” di un prefetto o di un questore — come quello deciso ieri dal Viminale a Macerata — è in effetti un strumento consolidato di crisis management burocratico. Il ministero dell’Interno vi ricorre quando alla gestione di un’emergenza è utile o necessaria la segnalazione pubblica di un salto di qualità nell’attenzione e nell’intervento dell’amministrazione centrale dello Stato su una situazione specifica ma di rilievo nazionale.
Qualche volta la rimozione di un alto funzionario degli Interni può essere rumorosa: agli annali resta quella del prefetto di Avellino, voluta direttamente dal presidente della Repubblica, Sandro Pertini, all’indomani del terremoto dell’Irpinia. Nell’autunno del 1980 l’emergenza era una sola, molto evidente: i soccorsi alle zone colpite dal sisma giungevano lenti e disorganizzati. Inviare un nuovo “ministro plenipotenziario” del governo valeva più di cento fonogrammi: polizia, vigili del fuoco, forze armate — tutti quelli che oggi chiamiamo “protezione civile” — dovevano rapidamente cambiare passo nei centri montani distrutti fra Campania e Basilicata.
Una manovra-risposta efficace da parte della struttura burocratica dopo uno choc può produrre buoni risultati anche nel medio-lungo termine. La gestione delle prime cento ore dopo il terremoto dell’Aquila nel 2009 da parte del commissario straordinario Guido Bertolaso è quasi unanimemente giudicata un caso tecnico di successo. I nuovi prefetti elaborano le lezioni apprese dai vecchi sulla loro pelle.
Quale emergenza, quali emergenze deve affrontare il nuovo questore di Macerata, Antonio Pignataro? Quali priorità gli avrà fissato il responsabile politico degli Interni, Marco Minniti? Quali istruzioni gli avrà dato a tre settimane dalle elezioni?
A Macerata sono deflagrate due emergenze-Paese reali più una politico-mediatica. Tutte sono alle cronache. L’assassinio efferato della giovane Pamela Mastropietro da parte di spacciatori nigeriani è stata la premessa di un raid da parte da parte di un attivista di estrema destra, candidato una volta dalla Lega in un piccolo centro della provincia di Macerata. Luca Traini ha ferito a colpi di arma da fuoco sei immigrati extracomunitari per le strade del capoluogo. A valle dei due episodi, Macerata è stata teatro di alcune manifestazioni di piazza: la più importante delle quali ha avuto come obiettivo la denuncia dell’avanzata di un “nuovo fascismo”, denuncia fortemente sostenuta dal centrosinistra e da media nazionali. Ma anche Casapound e Forza nuova sono scese in corteo.
Spaccio dei clan nigeriani, difficile integrazione dell’immigrazione, problemi di ordine pubblico creati più o meno strumentalmente in campagna elettorale: su quale di queste tre emergenze comincerà a lavorare Pignataro? L’ultimo incarico di un poliziotto di lungo corso — capo della seconda sezione della direzione antidroga del Viminale — può non essere indicativo, ma è interessante. Il “caso Macerata” è composto da cause ed effetti, anche solo dal punto di vista cronologico: e all’origine vi è indiscutibilmente il cadavere orribilmente mutilato di una giovane tossicodipendente, fuggita da una comunità e subito caduta vittima di una rete criminale di spaccio. E questa risulta composta anche da richiedenti asilo. Poi — come ha scritto Antonio Polito sul Corriere della Sera — l’Italia non è mai stata l’Alabama e non vuole diventarlo: e anche questa priorità rientra nel mandato costituzionale di ogni ministro dell’Interno della Repubblica.
A un ministro, a un questore che riuscissero a lavorare nelle prossime settimane a Macerata sulla prima e quindi sulla seconda emergenza il Paese dovrebbe solo dire grazie. Dovrebbe anzi aiutarli da subito: evitando di sollevare altre false emergenze.