A distanza di tre mesi esatti dalla sentenza con la quale l’ex calciatore del Milan, Robinho e l’amico Ricardo Falco furono condannati a 9 anni di carcere con l’accusa di aver abusato con un gruppo di amici una 23enne di origine albanese, arrivano le attese motivazioni dei giudici. Nel documento, i giudici della IX sezione penale hanno ribadito come gli imputati, entrambi brasiliani, abbiamo manifestato il solo “assoluto disprezzo” nei confronti della giovane vittima, “esposta a ripetute umiliazioni, oltre che ad atti di violenza sessuale”. Lo riporta Il Fatto Quotidiano che riporta oggi alcuni stralci del contenuto delle motivazioni depositate nelle passate ore. A sostegno della tesi dei giudici del Tribunale, anche le intercettazioni delle loro conversazioni nelle quali parlavano della ragazza “con epiteti (…) e termini spesso crudi e sprezzanti, segni inequivocabili di spregiudicatezza e quasi di consapevolezza di una futura impunità”. Insomma, Robinho e l’amico erano certi di averla fatta franca. Entrambi, oltre a 9 anni di carcere per violenza di gruppo sono stati condannati a versare la somma di 60mila euro alla vittima. Robinho e Falco rispondono di violenza sessuale di gruppo avvenuta con abuso delle “condizioni di inferiorità psichica e fisica” della giovane la quale sarebbe stata fatta ubriacare.
CASO ROBINHO: GLI ALTRI COINVOLTI, ATTESA PER L’APPELLO
Nel caso della violenza sessuale di gruppo con protagonista l’ex attaccante del Milan 33enne, condannato al termine del processo che si è svolto con rito abbreviato, sono coinvolti anche altri quattro suoi amici brasiliani, attualmente irreperibili. Per questo il procedimento nei loro confronti è stato attualmente sospeso. Nessuna attenuante generica è stata riconosciuta dai giudici all’ex calciatore né all’amico per via del loro comportamento che sin dall’inizio si è caratterizzato “per molteplici e continui tentativi di ostacolare l’accertamento della verità, attraverso la ricerca di un accordo sulle versioni da rendere agli inquirenti”. Non solo: i due imputati, orami certi di farla franca, avrebbero più volte riso sull’accaduto terribile le cui conseguenze risultano essere ancora visibili sulla giovane che all’epoca dei fatti aveva 23 anni e nella quale esistono “ancora i segni” di un “trauma psichico”. I giudici lo hanno compreso dal suo intervento in aula che è stato un mix tra intensa emotività e toni sommessi, “propri di una persona giunta con travaglio a determinarsi alla denuncia, e che è parsa particolarmente debole di fronte alla vicenda”. Dopo il primo grado si attende l’Appello che potrebbe confermare per la seconda volta la condanna a 9 anni.