Pisa, arriva Salvini e gli antagonisti attaccano. Torino, bombe carta contro le forze di polizia, echi di anni sofferti e lontani. Ancora da Torino, città che profeticamente semina il bene e il male, sente l’umore del paese, lo provoca. Non erano azioni dimostrative, quelle che hanno mandato all’ospedale gli agenti con schegge di metallo conficcate nella carne: le bombe carta infatti erano zeppe di chiodi e bulloni, volevano far male, ferire pesantemente.
Così ci si attrezza per gli ultimi giorni di campagna elettorale. Al grido di antifascismo antifascismo si vieta il libro esercizio di pensiero, di espressione stabilito dalla democrazia che difende e garantisce voce a tutti, anche a chi non ami, a chi non vorresti sfilasse sulle pubbliche piazze. E’ anche odiosa e pelosa la ridda di comunicati dovuti che condannano la violenza, con una serie inaccettabile di se e ma: “finché si concederanno le piazze a chi professa idee razziste… non riusciremo a fermare questa spirale”, dice il responsabile del sindacato di polizia. Il Pd commenta “chi alza il tiro riaccendendo odi e tensioni che parevano sopiti”, il neoleader della neoformazione di sinistra sinistra Pietro Grasso, immemore del suo ruolo di super partes condanna, però… però non può fare a meno “di ricordare che l’Italia è una Repubblica fondata sull’antifascismo”.
Nessuno che condanni e basta. Nessuno che gridi che i cosiddetti antagonisti sono fascisti tal quali. Nessuno che abbia il coraggio di affermare che le manifestazioni dei compagni sono indegne, quando insultano i poliziotti e i carabinieri, quando spaccano le vetrine e lanciano bombe carta; sono identiche per metodo e merito a quelle di Casapound e accoliti.
L’utilizzo politico di ideologie che volevamo seppellire si intensifica, e la storia non insegna mai. Proprio Torino, città di proteste infuocate di un ’68 che attendiamo di celebrare con la consueta retorica, ha accolto e coccolato con troppa debolezza i “compagni che sbagliano”, per poi ricredersi quando li ha visti tramutati in terroristi. Non si è saputo allora riconoscere i germi nefasti di una visione nichilista che accomuna da sempre estrema destra ed estrema sinistra, in un odio diffuso, un cupio dissolvi che si alimenta di polemiche continue ad uso elettorale, della rievocazione eterna di colpe passate che dividono il paese e impediscono la coesione e il lavoro comune, soprattutto tra i giovani.
Chi sono i ragazzi con il chiodo nero, chi quelli col passamontagna e le bandiere rosse che sfasciano e urlano frasi insensate, cosa vogliono? Che antagonismo rappresentano? La lotta contro lo Stato? E per cosa, per quale Stato? Disperati e fannulloni, viziati borghesi o figli di padri assenti e generatori di rabbia mai sopita, nostalgici adoratori di idoli che la memoria dovrebbe aver bollato come male assoluto, senza alcun riserbo. Sfilata contro sfilata, corteo contro corteo, come negli anni 70. Non ci bastano i criminali d’importazione, vogliamo allevarne altri in seno. Distinguendo, giustificando, inventando ragioni dall’una o dall’altra parte, rimpallandosi le responsabilità su chi a cominciato. Non si comincia, punto. Non si reagisce con la vendetta, punto. Chi ha potere e ragione e ruolo assegnato dal voto dei cittadini non può permettersi di sfruttare per qualsivoglia fine l’insulto e l’odio; deve permettere a chiunque di parlare, pacificamente; deve proteggere i propri ragazzi in divisa, ringraziandoli per il servizio al paese; deve impedire che si disprezzi il dolore dei morti, nelle foibe o nei lager, evocandoli in slogan osceni. Tocca sempre e ancora rievocare la poesia amarissima di un intellettuale convintamente di sinistra, Pasolini. Che dopo scontri di ragazzi esagitati, figli borghesi, già pronti idealmente a sostituire le molotov con i kalashnikov, ebbe il coraggio di mettersi dalla parte dei figli dei poliziotti. Senza se e senza ma.