Questa sera a Che tempo che fa ci sarà ospite tra gli altri la fidanzata di Dj Fabo (ovvero Fabiano Antoniani) che è appena uscita nelle librerie con il libro che racconta una delle storie più controverse del panorama culturale e sociale italiano di questi ultimi anni: quella del suicidio di quel fidanzato che dal 13 giugno del 2014 viveva una condizione di semi-totale paralisi dopo un gravissimo incidente in moto. Valeria Imbrogno presenta così «Prometto di perderti» nel quale racconta tutto il dramma e il percorso che ha portato Dj Fabo alla scelta difficile e contestata del suicidio assistito nella clinica svizzera “Dignitas”. Lo aveva chiesto lui alla sua famiglia, alla sua donna che gli erano sempre stati di fianco e infine all’Associazione Luca Coscioni con il loro leader Marco Cappato che lo ha personalmente accompagnato in Svizzera per l’ultimo atto della vita di Fabiano. Da lì il celebre caso e processo per il suicidio assistito con l’imputato che si è spontaneamente presentato per segnalare l’emergenza legislativa su eutanasia e autodeterminazione della propria esistenza financo alla morte. Qualche giorno fa i giudici di Milano hanno rinviato alla Consulta gli atti del processo a Marco Cappato perché valuti la legittimità costituzionale della legge che punisce l’aiuto al suicidio: di fatto, sia difesa che accusa si trovano concordi nell’affermare che la scelta di Cappato sia stata una sorta di “pietas” nei confronti di una migliore dignità della vita per Dj Fabo. Ora sarà la Consulta a dover decider in un caso che si profila, come per Eluana Englaro e Piergiorgio Welby tanti anni fa, come elemento segnante un’era.



LA PREGHIERA E IL GIUDIZIO DELLA CHIESA

Il prossimo passo infatti, dopo il testamento biologico, potrebbe proprio essere la legittimazione legislativa dell’eutanasia per evitare altri casi come Fabo, “costretti” ad andare all’estero per porre fine alle proprie sofferenze. L’opinione pubblica sembra ormai schierata in toto verso questa decisione e “rivoluzione”, le varie associazioni radicali pure mentre al momento sembra rimasta “sola” la Chiesa nel cercare a livello pubblico e mediatico di presentare il proprio giudizio e le proprie questioni sulle immense problematiche esistenti nel concedere la legalizzazione piena sull’eutanasia. Quando Fabo morì ormai un anno fa, la Curia di Milano invece che reagire con insulti e richieste di interrogazioni parlamentari contro quella decisione, iniziò il proprio “commento” al fatto appena successo con una richiesta semplice di preghiera. «Un gesto di compassione cristiana e di preghiera. Sarebbe triste se si speculasse su questo…», scriveva Don Davide Milani responsabile della comunicazione della diocesi di Milano e portavoce dell’allora cardinale Angelo Scola. Alla Stampa poi rispose in questo modo sulla richiesta diretta della posizione della Chiesa sull’eutanasia, se fosse per caso cambiata o meno: «Il giudizio che esprime la Chiesa con questo gesto di preghiera è di affidare Fabiano alla misericordia di Dio, come fa sempre con tutti i defunti. Ma la posizione della Chiesa sull’eutanasia e il fine vita non cambia».



Ancora più interessante fu l’omelia che il Card. Scola tenne il giorno del Venerdì Santo dello scorso anno, in riferimento alle vicende di Dj Fabo e del “sogno eutanasico” del nuovo mondo secolarizzato anche in Italia. «Decidere la propria morte non è autentico potere. L’individualismo esasperato, che è la cifra della nostra cultura occidentale contemporanea, giunge a rivendicare il diritto all’assoluta autodeterminazione anche in questo campo dell’umana esperienza. Ma ogni uomo che si osservi con umile lealtà riconosce che quello di decidere la propria morte non è autentico potere. Neppure Cristo decise la propria morte. Egli obbedì con libertà alla volontà del Padre ed accettò come un agnello condotto al macello l’ingiusta condanna degli uomini». Una voce “fuori dal coro” ma che ancora oggi regge nella sfida culturale e umana alla contrapposizione sulla totale autodeterminazione: una sfida non tanto di idee ma di umanità e giudizio sull’esperienza davanti. Un contrasto dal quale speriamo che l’umanità possa non solo evolversi ma non perdere la cifra più propria, ovvero la cura e l’attenzione per la persona tutta, dal suo concepimento fino alla morte.

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