I have a dream. Un sogno elettorale. Mi appare l’Italia, come una Minerva procace e tronfia per gli antichi fasti, e però appesantita dalla cellulite e malcerta del futuro. Zoommata sulla grafica dei risultati: tre poli quasi equipollenti, nessuna maggioranza, e l’incubo di un governicchio o di nuove elezioni (e poi?). Per mettere la barra sulla rotta giusta, ragionavo nel sogno, occorrerà unire gli intenti: anche in alto, nella cabina di regia del Paese. Una convergenza tra i Ragionevoli, che garantisca una reale governabilità del Paese, condizione essenziale, oggi, per il bene comune. E che tenga a bada gli Oltranzisti del muoia Sansone e tutti i Filistei. La chiamino come vogliono, purché non inciucio: parola laida e surrettizia, che bolla di infamia senza onere della prova ogni possibile compromesso o mediazione. Vecchio infingardo trucchetto verbale per cui se il costruttore è dalla tua o potente e temibile è immobiliarista, l’uomo d’affari finanziere; se contro o in caduta, è palazzinaro e faccendiere, subdolamente trasmettendo l’idea che è uno losco. Perciò propongo di cancellare dal vocabolario politico la parola inciucio, perché grammaticalmente dialettale e moralmente sleale.
Cercavo dunque, nel sogno, di valutare le forze in campo attraverso gli anagrammi dei nomi dei loro capi. Una specie di voto enigmistico (forse mi ero addormentato su un Bartezzaghi), preparato su una lavagna con le colonne dei buoni e dei cattivi, cioè dei Ragionevoli (“potrei anche votarti”) e degli Oltranzisti (“corvo rosso, o nero, non avrai il mio scalpo).
I cattivi. Metto in questa colonna il partito sinistra-sinistra guidato da toga per rossi: non amo la magistratura in politica e non amo chi spacca ancora il mondo in borghesia, proletariato, lotta di classe con il pugno chiuso e il Rolex d’oro al polso, e spacca pure la sinistra per ripicca proletaria. Faccio seguire il gruppo di quella picinìna dagli occhi dilatati che pare quotidianamente proclamare oggi li amo neri. Ma non neri di pelle, “che anzi dio ce ne liberi”: neri di dentro. Neri e rossi amano la piazza: come parata di muscoli e slogan, non come piace a me, alla Gaber, come luogo di “verifiche e confronti”. Cattivi. Scrivo in questa colonna anche stivale minato, quello che ti vuol convincere che l’Italia sta per saltare in aria a causa dell’immigrazione islamo-stupro-terroristica e che la si salva solo con “su i muri, indietro i barconi e pugni sul tavolo a Bruxelles”. Figuriamoci. In ogni caso ai muri preferisco i ponti; e addirittura preferisco l’euro alle vecchie 50 lire, ricordate?, in cui un nudo fabbro italico visto dal lato B si martellava l’incudine come un gladiatorio Tafazi. Avverto inoltre stivale minato: giù le mani dal vangelo, non è roba celtica. Se ti va, giura sull’ampolla del dio-Po. Se no lascia perdere.
Passiamo alla lista dei laicissimi-senza-firme graziati da un simbolo democristianotto avuto in leasing da sponde clerico-democratiche. Batacci è l’anagramma del benefattore che fa pensare a un guareschiano proprietario terriero di Brescello; meno amboni è l’anagramma della pasionaria graziata dal sullodato: suona come il programma dell’ottocentesco Regno d’Italia di incameramento dei beni ecclesiastici. Meno amboni (e magari più suicidi assistiti et simili auto-determinazioni) chiude dunque la lista dei cattivi che non avranno il mio scalpo.
I buoni. Occorre un certo sforzo, e un po’ di remissione, ma è giusto farlo. Metto tra i buoni l’ex uomo solo al comando che deve tener su di giri i suoi piddini per cercare di risultare primo partito e così rivendicare il premierato, sapendo che il rischio è di arrivare secondo, se non terzo in meta. Però patti chiari: la pianti di fare il ganassa e sposi i modi di Gentiloni. E, al di là della comprensibile propaganda, non escluda per il dopo voto responsabili forme di convergenza.
Analogo trattamento concederei per il burlesco inviso, quello che sta sul piloro a tanti, nemici storici (per forza) e a ex-amici (per le cene eleganti e i dopo cena en burlesque, e che tuttavia potrebbe avere un ruolo a centrocampo nella nazionale dei Ragionevoli. Oltretutto mettendoci, forse, un filo di rispetto in più (o di minor sprezzo) dei valori cristiani. Forse.
L’uno e l’altro capo dispongono poi di un semi-partito di centro: il terzo in meta di una formazione che potrebbero se va male ritrovarsi in tre, tre con abile Renzi, e se va bene in 3 per cento, e avere un peso nel tener su un governo dei Ragionevoli. Hanno il lodevole coraggio di accennare apertis verbis a più o meno larghe intese. Come pure quegli altri dell’altro semi-partito collocato nel centrodestra, anche loro con la paura di non arrivare, dio non voglia, al fatidico tre per cento: el fattore fifa recita infatti l’impietoso anagramma del leader. Sono moderati, non lupi che azzannano (a dispetto del cognome di un loro leader), e hanno lo scudo crociato nel simbolo e, perché non fidarsi?, nell’orizzonte ideale. Vanno in tv ragionando e non insultando. In un mondo normale sarebbe normale; oggi come oggi è pregevole qualità rara, niente affatto indegna del mio scalpo.
Rimane da dire del movimento per cui tutti gli altri partiti sono impresentabili: vorrebbero, duri e puri, vincere da soli, cacciare tutti gli altri, comandare da soli, stipendiare a vita chiunque a prescindere se va a lavorare o no. E chissene del debito pubblico. Gli basta avere un Rousseau inteso come piattaforma digital-pseudo-democratica, un’infarinatura di Cittadinanza intesa come astrazione ideologica statalistica e giacobina, e un modello Roma da applicare e… taaaaac. Per l’amor di dio. Del giovin signore che vuol portare a Palazzo Chigi il suo faccino da guaglione abbronzato, Non mi viene neanche l’anagramma. Provo: …lui… io… mai… di… lì… guaio… Niente da fare. L’anagramma non mi viene. Corvo pentastellato non avrai il mio anagramma. E’ inutile, non mi viene, non mi viene. E, sia chiaro: no anagramma, no scalpo.