In questi giorni di Quaresima, la liturgia della Chiesa ritorna sui passi del popolo d’Israele in esodo dall’Egitto. Proprio in questi giorni, quando il popolo italiano si avvia, nella confusione generale, ad una nuova tornata elettorale. Confusione: esperienza comune al popolo italiano, come al popolo di Israele, che sembrava avviarsi verso un destino incerto, dovendo lasciare la terra d’Egitto per incamminarsi nel deserto.



A chi dar credito? A Mosè o al Faraone? Il Faraone aveva parole chiare, progetti sicuri, nemici ben definiti, una struttura consolidata. È pur vero che si era schiavi sotto di lui, ma era certo in quale posto ognuno dovesse stare: luogotenenti, ufficiali, capi, addetti, stranieri e schiavi. Mosè, d’altra parte, era uomo dalle origini non chiare, che negli ultimi tempi si era proposto alla guida di un popolo, secondo un disegno nemmeno a lui del tutto chiaro.



A chi dar credito? A Mosè o al Faraone? Possiamo immaginare il popolo d’Israele immerso in lunghe discussioni, nelle pause del lavoro, come nelle case alla sera; come in questi ultimi giorni succede al popolo italiano.

La nostalgia di un passato glorioso ormai perduto, la certezza di un sistema consolidato, l’insicurezza di un futuro alquanto insidioso proprie di alcuni anziani, si unirono al disinteresse per un futuro troppo pesante da portare, alla lamentela per il tradimento delle promesse mai mantenute, al senso di impotenza verso i capi che restavano sempre a governare, propri di alcuni giovani. Anziani e giovani non comprendevano Mosè, guardavano con sospetto e sentivano lontane le sue parole. Il loro cuore si affidò al Faraone, che sembrava dar spazio e sfogo ai loro sentimenti con le sue potenti opere.



Coloro che seguivano Mosè non avevano, d’altra parte, le idee molto più chiare. Divisi tra di loro in fazioni e sottofazioni, si accapigliavano per difendere le loro posizioni, su quando si dovesse partire dall’Egitto e quando si sarebbe arrivati alla terra promessa, su quanto lasciare in Egitto e quanto portare via con sé, se convenisse muoversi in gruppi grossi o in gruppi piccoli, se non chiedere che Aronne, che parlava più chiaro, prendesse il posto di Mosè.

Ognuno credeva di avere ragioni: per l’interesse e per il disinteresse. Ognuno aveva la sua ragione da far valere, ma nessun interesse a comprendere le ragioni degli altri, per ritrovare quell’identità che li accomunasse come popolo davanti al Faraone e davanti a Mosè.

Ma venne la notte della partenza, come verrà la notte del voto. E mentre gli israeliti si incamminavano nel deserto verso il Mar Rosso, si accorsero, lungo il cammino, che i loro padri e i loro figli erano restati a casa, ammaliati dal potere del Faraone.

La vera sconfitta per questa tornata elettorale sarà quella di non aver compreso le ragioni dell’indifferenza e del lamento su cui i populismi dei faraoni dei nostri giorni hanno fatto leva. Mentre cercavamo di convincerci l’un l’altro su quale partito sarebbe stato il meno peggio per l’Italia, su quali strategie adoperare per circuire la legge elettorale, abbiamo perso parte del nostro popolo, fatto di giovani (in parte anche immigrati) e di anziani, con cui non abbiamo saputo parlare.

La notte del voto verrà. Abbiamo ancora qualche giorno per smettere di voler capire chi è meglio votare, per uscire dalle nostre case e iniziare a voler comprendere le ragioni di chi non vuole votare, sente distante la politica, lasciandosi tentare dalle populistiche promesse dei faraoni dei nostri giorni.