I fatti di Macerata sono sotto gli occhi di tutti e non è necessario ripercorrerli. Lo sparatore folle, consegnatosi alla polizia ammantato con una bandiera tricolore, dopo avere terrorizzato a colpi di pistola una delle più belle e tranquille province d’Italia è oramai un’icona che continuerà a primeggiare sulle prime pagine dei nostri quotidiani per i prossimi giorni. La fiera del male si alimenta così con una terza notizia di cronaca, spettacolare e oscena come quelle che l’hanno cronologicamente preceduta. È stato infatti osceno l’assassinio di una ragazza di diciotto anni, tossicodipendente, alla ricerca dell’ennesima dose. È stato osceno l’aggressore, l’orco di turno, che si è addirittura rifiutato di rispondere alle domande del magistrato dopo un delitto così ripugnante e scandaloso.
Simili oscenità fanno notizia e la stampa ci si è tuffata senza ritegno, a caccia di particolari che potessero rendere le oscenità ancora più gravi, sollecitando così gli squilibri dei vari border line di passaggio. Una tale serie di oscenità sta divorando tutti e ci attira in un rimpallo di responsabilità tanto più tentatore quanto più le prossime elezioni sembrano richiedere l’uso di materiale sempre più infiammabile per una lotta senza esclusione di colpi.
In realtà, al di là dell’osceno, restano alcune evidenze che è bene non dimenticare.
Non dovrebbe accadere che una ragazza di diciotto anni cada nel pozzo senza fine della droga, così come non dovrebbe avvenire che uno spacciatore seriale dia sfogo ai propri istinti omicidi assassinandola. Così come non dovrebbe capitare che uno squilibrato decida di vendicare l’omicidio appena perpetrato, sparando a delle persone innocenti. Se nulla potrebbe apparire più squallido che approfittare di queste tragedie per rinsaldare posizioni e schieramenti, è altrettanto ovvio che nulla appare più doveroso dell’interrogarsi sul come sia stato possibile che tre fatti che non sarebbero mai dovuti accadere si siano invece prodotti.
Per quanto possa apparire pedante, è necessario rimettere ordine, a cominciare dall’inizio. E lo possiamo fare tirando in ballo delle responsabilità che non vanno ascritte all’uno o all’altro schieramento politico, ma che invece risiedono tutte in una cultura della superficialità nella quale ci stiamo crogiolando da anni, benché con responsabilità diverse tra chi l’ha prodotta e chi, più mestamente, l’ha tollerata.
Fino a che punto infatti non siamo responsabili dello stato attuale della tossicodipendenza in Italia, quando tolleriamo la droga come se fosse un temporale d’estate, una circostanza incontrovertibile e non più controllabile? Quando continuiamo a tollerare “spini” e “controspini” come se fossero una goliardata? C’è già chi dice che gli “spinelli” — ovviamente se sono di “ottima qualità” — facciano bene alla salute. E tutto passa con una sconcertante leggerezza, come se fossimo nell’eterna isola di Peter Pan. Fino a che punto durerà quest’eterna fanciullezza che produce la più stolta incoscienza? Fino a che punto questa nostra cultura dell’indifferenza e del “che possiamo farci” non si riconoscerà responsabile della discesa agli inferi di Pamela, come di centinaia di altri ragazzi e ragazze già persi?
Fino a che punto non siamo responsabili dello spacciatore seriale “senza fede, né legge”? Del suo poter circolare nell’attesa che un sistema legislativo efficace arrivi a neutralizzarlo, quando sappiamo tutti perfettamente che la droga è capace di far esplodere l’animalità che è in noi, rendendoci socialmente pericolosi? Come possiamo continuare ad ignorare che tutte le demenziali droghe che scorrono nelle scuole e nei centri di ritrovo danno vita a potenziali notti della ragione nelle quali tutto è possibile, dove ogni oscenità è perpetrabile? Fino a che punto continueremo a tollerare che una persona già nota, tossicodipendente, possa continuare a godere di una libertà di movimento che lo rende un pericolo potenziale per tutti?
Fino a che punto non siamo responsabili della sceneggiata omicida di un border line che sceglie di abusare di un passato immaginario che esiste solo nella sua fantasia, per investirsi di un potere assoluto di vita o di morte, dando così forma epica al proprio personale delirio di onnipotenza? Fino a che punto è possibile che tolleriamo di privarci degli strumenti per neutralizzarlo, prima che dia corpo ai suoi fantasmi, qualunque questi siano?
Ciascuna delle vicende esposte chiama in causa una cultura della leggerezza e della sottovalutazione in conseguenza della quale affrontiamo ogni problema con colpevoli ritardi, quando le metastasi si sono già prodotte e il male ha potuto prolificare. Ma soprattutto quando nuovi problemi, arrivati successivamente, si sono sovrascritti ai precedenti, aumentando lo spessore e le dimensioni della follia. Della possibile continuità di una così spettacolare e rovinosa inerzia ne siamo oramai tutti responsabili ed i fatti di Macerata sono lì, a dimostrarcelo.