“Mai più militari morti”: le risoluzioni del testo della commissione d’inchiesta sull’utilizzo dell’uranio impoverito nelle armi che avrebbero causato numerosi decessi tra le forze armate, sono perentorie: “ Mai più una `penisola interdetta´, come quella Delta del Poligono di Capo Teulada. Mai più una gestione del territorio affidata in via esclusiva all’autorità militare, senza interlocuzioni con l’amministrazione dell’ambiente, con la Regione e con le Autonomie locali: ecco gli obiettivi perseguiti dalla quarta Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito.” La commissione ha sottolineato l’assoluta necessità di garantire la salute degli uomini impegnati nelle forze armate, e ha parlato di “discarica” rilevata dalle immagini satellitari, con materiali potenzialmente letali per l’uomo, oltre che per animali e ambiente circostante. E nonostante le autorità militari abbiano definito “inaccettabili” le accuse, l’impressione è che il caso non si possa chiudere senza conseguenze importanti. (agg. di Fabio Belli)
FORZE ARMATE RESPINGONO LE ACCUSE
Le conclusioni della Commissione parlamentare d’inchiesta che, per la prima volta in una sua relazione cita l’esigenza di riconoscere il nesso causale tra i tumori e l’accertata esposizione ad agenti patogeni in contesti militari non sono piaciute affatto allo Stato Maggiore della Difesa che, come riporta Repubblica.it, ha commentato in modo acceso anche alla luce dell’improvvisa dissociazione di uno dei periti chiamati in causa dallo stesso organismo politico d’inchiesta. “Anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate dal professor Trenta le forze armate respingono con fermezza le inaccettabili accuse”, si legge in una nota ufficiale. Come ribadisce lo Stato Maggiore della Difesa, inoltre, “le Forze Armate italiane mai hanno acquistato o impiegato munizionamento contenente uranio impoverito”. Ciò sarebbe stato confermato anche dalle commissioni tecnico-scientifiche ingaggiate dalle diverse Commissioni parlamentari che dal 2005 stanno indagando sul legame tra uranio impoverito e tumori (con annesse morti o malattie) dei militari. Sempre nella sua relazione, la Commissione d’inchiesta ha puntato il dito contro il negazionismo adottato dai vertici militari, come emerso dai tre casi oggetto di analisi. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
LE PROPOSTE
Uranio impoverito causa tumori: oggi la Commissione parlamentare di inchiesta ha presentato la relazione finale sul tema ed ha rivelato sconvolgenti criticità riguardo la salute e sicurezza della salute dei militari sia in Italia che all’estero. In particolare, nel mirino il negazionismo dei vertici militari, così come i silenzi delle Autorità del Governo. La proposta di legge di Scanu pone delle novità rilevanti sul tema: “punta ad affidare la vigilanza sui luoghi di lavoro dell’Amministrazione della Difesa al personale del ministero del Lavoro”, riporta TG Com 24. Ma non solo, la proposta firmata da quasi tutti i membri della Commissione sottolinea che è urgente “il superamento dell’Osservatorio epidemiologico della Difesa e l’affidamento delle indispensabili ricerche epidemiologiche nel mondo militare a un ente terzo e qualificato per coerenza scientifica come l’Istituto Superiore di Sanità”. (Agg. Massimo Balsamo)
URANIO IMPOVERITO CAUSA TUMORI
La Commissione parlamentare d’inchiesta ha presentato oggi la relazione finale sull’uranio impoverito rivelando “sconvolgenti criticità” nell’ambito della sicurezza e della salute dei militari “in Italia e nelle missioni all’estero, che hanno contribuito a seminare morti e malattie”. Nel mirino il “negazionismo” dei vertici militari ma anche gli “assordanti silenzi” da parte delle Autorità di Governo. “È ora di ammettere che l’uranio impoverito causa tumori”, ha concluso la quarta Commissione costituita per indagare sul complesso argomento relativo all’uso di uranio impoverito, nella sua relazione approvata con 10 voti a favore e due contrari. Il nesso tra uranio e tumori, come spiega TgCom24 è stato riconosciuto da alcuni esperti ascoltati, in particolare da Giorgio Trenta, presidente dell’associazione italiana di radioprotezione medica che ha “riconosciuto la responsabilità dell’uranio impoverito nella generazione di nanoparticelle e micropolveri, capaci di indurre i tumori che hanno colpito anche i nostri militari inviati ad operare in zone in cui era stato fatto un uso massiccio di proiettili all’uranio”. Le critiche della Commissione d’inchiesta presieduta da Gian Piero Scanu hanno riguardato anche la magistratura penale rea di non aver applicato interventi sistematici a tutela della salute dei militari. “Nell’amministrazione della Difesa continua a diffondersi un deleterio senso d’impunità”, si legge ancora nella relazione.
URANIO, I CASI OGGETTO DELLA COMMISSIONE D’INCHIESTA
Al vaglio della Commissione d’inchiesta in merito alla delicata tematica dell’uranio impoverito e del suo collegamento in ambito militare, ci sono stati tre casi specifici. Il primo è quello del militare Antonio Attianese, vittima di una grave patologia sorta in seguito alla sua permanenza in Afghanistan. Proprio il militare ha denunciato l’atteggiamento fortemente ostruzionistico e le minacce ricevute da alcuni superiori. Il secondo caso è quello del tenente colonello medico Ennio Lettieri, in missione in Kosovo, resosi testimone di una fornitura di acqua destinata al contingente italiano ma altamente cancerogena. Terzo caso quello del generale Carmelo Covato il quale aveva affermato che “i militari italiani impiegati nei Balcani erano al corrente della presenza di uranio impoverito nei munizionamenti utilizzati ed erano conseguentemente attrezzati”. Dalla relazione finale, dunque, sono emersi i molteplici rischi molto gravi ai quali sono esposti i lavoratori ed i cittadini nelle loro attività svolte dalle forze militari ma anche polizia di Stato e vigili del fuoco. Oltre al rischio uranio, è emerso anche quello legato all’amianto presente in navi, aerei ed elicotteri. Basti pensare che solo nell’ambito della Marina Militare sarebbero, secondo quanto accertato dalla Commissione, oltre mille le persone morte o ammalate in seguito a patologie correlate all’uranio.