Certe notizie lasciano completamente disorientati, anche in una società come la nostra in cui la morte ci viene continuamente presentata come una libera scelta, l’ultimo atto della nostra autodeterminazione.

Quando a sceglierla è un bambino di otto anni, però, non si può che fermarsi sgomenti: anche se quel piccolo è uno sconosciuto, basta leggere il titolo della notizia per sentirlo come un figlio, per sentirsi lacerare pensando a quella madre che aprendo la porta della cameretta lo ha trovato con la sciarpa stretta al collo e il cuore che non batte più. Quel cuore che lei per prima ha sentito battere dentro di sé scoprendolo nel suo grembo.



Viene da sperare che volesse solo far spaventare i genitori, fargliela un po’ pagare per quel rimprovero e la costrizione di tornare a scuola il pomeriggio, perché non è nemmeno considerabile che un bimbo di otto anni desideri di morire.

Tutto si ribella di fronte a questa notizia perché anche se tg, media, opinione pubblica e luoghi comuni trattano la morte come un tabù o al contrario come un diritto per cui combattere, di fronte a dolori come questo è chiaro che noi siamo, invece, fatti per la vita. Sempre.



Tutto di noi grida questa verità: vogliamo vivere, amare, gioire, sperare, camminare, crescere, condividere. E per poterlo fare, giorno dopo giorno, dobbiamo anche accettare di sospirare, annoiarci, soffrire, sbagliare, scontrarci talvolta, tanto con chi amiamo e ci ama, quanto con chi ci detesta. È questo che spesso non ci si dice più: per vivere bisogna fare i conti con la sofferenza, con gli errori, con le mancanze nostre e altrui, con la fatica e con il sacrificio, ma niente di questo è ostacolo alla felicità, alla pienezza alla grandezza di noi stessi e delle persone che amiamo.

Un bambino di otto anni che si impicca ci costringe a riguardare alla vita e a chiederci per chi e per che cosa stiamo spendendo la nostra, quale grande sogno la attraversa, quali desideri le danno luce, quale miracolo attendiamo che si sveli innanzitutto nella quotidianità a cui siamo chiamati.