Era l’aprile 2007, poco più di 10 anni fa, dunque, quando un decreto del ministero dell’Interno dichiarava di ispirarsi alla Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione, parte integrante del documento, e di voler orientare ai principi in essa affermati le relazioni con le comunità degli immigrati e religiose, nella prospettiva dell’integrazione e della coesione sociale.
Nella sezione della Carta dedicata alla laicità e alla libertà religiosa, si sottolineava, tra l’altro, la laicità dell’Italia, fondata sul riconoscimento della piena libertà religiosa individuale e collettiva. Riaffermando il senso dei principi costituzionali in materia, si proclamava l’eguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose, la garanzia dei principi di libertà e dei diritti della persona (che non possono essere violati nel nome di alcuna religione), la libertà religiosa e di coscienza, la libertà di culto e di adempiere alle prescrizioni religiose purché non contrastino con le norme penali e con i diritti degli altri.
Era giusto un anno fa, a inizio febbraio 2017, quando il ministero dell’Interno recepiva il Patto nazionale per un Islam italiano, espressione di una comunità aperta, integrata e aderente ai valori e principi dell’ordinamento statale, sottoscritto dai rappresentanti di dieci importanti organizzazioni islamiche.
Con il Patto tali organizzazioni si impegnavano a: favorire lo sviluppo e la crescita del dialogo (1); proseguire nell’azione di contrasto dei fenomeni di radicalismo religioso (2); promuovere un processo di organizzazione giuridica delle associazioni islamiche in armonia con i principi dell’ordinamento giuridico dello Stato (3); promuovere la formazione di imam e guide religiose che possano anche assumere il ruolo di efficaci mediatori per assicurare la piena attuazione dei principi civili di convivenza, laicità dello Stato, legalità, parità dei diritti tra uomo e donna, in un contesto caratterizzato dal pluralismo confessionale e culturale (4); proseguire nell’organizzazione di eventi pubblici che attestino l’efficacia del dialogo interculturale (5); favorire le condizioni prodromiche all’avvio di negoziati volti al raggiungimento di intese ai sensi dell’art. 8, comma 3, della Costituzione (6); proseguire nell’impegno di garantire che i luoghi di preghiera e di culto mantengano standard decorosi e rispettosi delle norme vigenti (in materia di sicurezza e di edilizia) e che tali sedi possano essere accessibili a visitatori non musulmani (7); facilitare i contatti e le relazioni delle istituzioni e della società civile con le associazioni islamiche, rendendo pubblici nomi e recapiti di imam, guide religiose e personalità in grado di svolgere efficacemente un ruolo di mediazione tra la loro comunità e la realtà sociale e civile circostante (8); adoperarsi concretamente affinché il sermone del venerdì sia svolto o tradotto in italiano (9); assicurare massima trasparenza nella gestione e documentazione dei finanziamenti, ricevuti, dall’Italia o dall’estero, da destinare alla costruzione e alla gestione di moschee e luoghi di preghiera (10).
Erano poche ore fa e — per alcuni almeno — le vicende di Macerata sembravano dover rimettere tutto in discussione.
E’, si dirà, la forza dei fatti, della cronaca, della politica. Ma è soprattutto, forse, la qualità della campagna elettorale alle nostre latitudini.