Aveva profetizzato molto di quello che sarebbe successo, anche se con decenni di anticipo. Ad esempio che grazie allo sviluppo della tecnologia e della fecondazione artificiale il maschio non sarebbe più stato necessario per la riproduzione o il rifiuto di rapporti sessuali con uomini o donne, in nome di una neutralità di genere. Valerie Solanas in Italia non la conosce nessuno, chissà adesso che per la prima volta vengono pubblicati i suoi scritti,  “Trilogia SCUM. Tutti gli scritti” (Morellini editore / VandA epublishing) a cura di Stefania Arcara e Deborah Ardilli. Saranno considerati reperti di un’epoca storica che per fortuna non esiste più, quando le utopie degli anni 60 si trasformarono in violenza. Dalle lotte per i diritti civili di Marin Luther King alle Black Panters, organizzazione di afroamericani paramilitare. Dagli hippie a vari gruppi terroristici. Ma il femminismo ebbe solo in Valerie Solanas la sua punta estrema, proclamatrice della superiorità delle donne e dell’eliminazione anche fisica degli uomini. I suoi scritti erano così violenti e malati che anche Andy Warhol, il genio pop degli anni 60, che di opere estreme ne aveva fatte, rifiutò di pubblicarli.



Era un racconto del 1966 che conteneva oltre al turpiloquio continuo, anche un infanticidio finale e una cena a base di escrementi (forse lo lesse Pasolini che usò una scena del genere nel suo film Le 120 giornate di Sodoma). E fu forse quel rifiuto nonostante avesse usato la Solanas come comparsa nel suo film I, a man, a portarla al tentativo di ucciderlo, due anni dopo. Ironicamente, ebbe i suoi quindici minuti di notorietà, parole coniate proprio da Warhol quando disse che ciascuno nella vita “avrà i suoi quindici minuti di notorietà”. Successe cinquant’anni fa, il 3 giugno 1968, quando la donna sparò tre colpi di pistola nell’addome dell’artista che si salvò miracolosamente. Andy Warhol portò quelle cicatrici in modo vistoso, fotografandole, segno di un cambiamento che ebbe dopo quell’attentato, non più artista estremo, ritrovando anche la fede religiosa dell’infanzia. Lei fu arrestata e rinchiusa in un manicomio criminale. Morì in un altro anniversario, il 25 aprile di trent’anni fa, il 25 aprile 1988. Per l’esattezza non si sa quando morì, ma quella è la data in cui il suo corpo ormai in putrefazione venne ritrovato in una stanza di un hotel nel quartiere più malfamato di San Francisco. Su di lei fu girato anche un bel fin, uscito nel 1995, “Ho sparato a Andy Warhol”, dove la donna era interpretata da Lily Taylor usando quasi del tutto frasi della Solanas. 

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