A Cisterna di Latina si sono svolti ieri i funerali di Alessia e Martina, le due bimbe uccise dal padre Luigi Capasso, poi suicidatosi non senza aver prima tentato di uccidere la moglie, che invece si trova ora all’ospedale ma fuori pericolo. I funerali salgono all’onore delle cronache, oltre che per il numero delle persone e per la commozione, anche perché quando il parroco, un prete attento e preparato, dice nell’omelia “di pregare anche per il padre” scoppiano le proteste dei presenti. E’ difficile, da prete, scrivere della gente che contesta un parroco per l’invito al perdono; è difficile fare i conti con le reazioni legittime e comprensibili del popolo a frasi che tutti noi preti diciamo, io per primo, e che ruotano attorno all’idea che essendo la Misericordia di Dio infinita, di conseguenza dovremmo perdonare anche noi (che però siamo uomini e non Dio).
In primo luogo devo dire che anche io, da uomo, sento disagio per la richiesta di pregare per un padre che ha ucciso nel sonno le figlie, ha tentato di fare lo stesso per la moglie e poi si è suicidato. Sento disagio perché credo che le parole abbiano un peso. La parola “perdono” ne ha molto, tantissimo, e tutto fa pensare che dirla in questa circostanza fosse presto, troppo presto, inopportuno. Perché non puoi pregare per qualcuno se non l’hai perdonato e, perdonare, adesso no: magari un lontano domani, forse. Ma adesso proprio no. Nessuno può farcela.
Ma qui, il collega, ha il colpo d’ala che cinquant’anni da parroco gli regala. La gente contesta, mormora, qualcuno azzittisce, e allora lui dice: “Scusate ma la famiglia ha perdonato”. La famiglia è Antonietta, la vedova ferita, la madre orfana di Alessia e Martina che giace all’ospedale e alla quale è stata detta la verità. Un dolore lancinante che ha trovato conforto nella fede.
Nel cristianesimo il perdono è la più grande forma di giustizia: peccato che in casi come quelli di Cisterna di Latina ti accorgi di non essere cristiano. Quando è avvenuto il delitto io quasi quasi ero tra quelli che speravano che Antonietta morisse. Perché la gente, non i cristiani, non Antonietta, crede che non possa esistere un cuore capace di perdonare un crimine così grande. La gente non crede che sia possibile la via del perdono, ma si vede che Maria — la Madonna intendo — vuole che Antonietta divenga la fiaccola di un perdono che mai dovrà essere sostituito dalla legge umana. Antonietta sarà missionaria del perdono perché d’ora in poi, ovunque andrà, di lei si dirà che è la mamma di Alessia e Martina, le due bimbe uccise dal marito poi suicidatosi non senza aver prima tentato di ucciderla. Si dirà così e già si è detto. È avvenuto ieri, in chiesa. Il parroco stava affogando e Antonietta l’ha salvato. Il parroco era stato affondato dalla logica della giustizia e allora, istintivamente, si è aggrappato alla madre, ad Antonietta, alla fiaccola.
Quando proponiamo un valore, anche quello del perdono, senza immischiarlo alla vita ne facciamo un’arma di offesa, una lancia che trafigge il cuore e che non lascia speranza, che sa di freddezza, lontananza proprio verso chi avrebbe bisogno di consolazione e rispetto. Bravo il parroco che si è accorto di questo e ha immerso il valore astratto nel cuore concreto ferito a letto: quello di Antonietta. Quello di Maria sotto la Croce.