Un duro colpo inferto alla rete di protezione di Matteo Messina Denaro, il ricercato numero 1 d’Italia e capo della mafia siciliana ormai latitante dal 1993, quello realizzato dai carabinieri e dalla Dia con l’arresto del re dell’eolico Vito Nicastri e altri 11 boss appartenenti alle famiglie dei centri di Vita e Salemi (Trapani). A sottolineare l’importanza di Nicastri per il finanziamento della latitanza di Messina Denaro era stato in tempi non sospetti il pentito Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del capo dei capi nel frattempo morto, che agli investigatori aveva raccontato:”Mi ha detto che praticamente erano i soldi dell’impianto di…di quello degli impianti eolici di Alcamo, e che c’erano stati problemi perché aveva tutte cose sequestrate e i soldi tutti insieme non glieli poteva dare, perciò glieli avrebbe dati in tante tranches”. Il riferimento è appunto alla “borsa di soldi” contenente pare 200mila euro, consegnata da Nicastri e passata attraverso diversi intermediari, ultimo il nipote prediletto del capo di Cosa Nostra, Francesco Guttadauro, prima di arrivare a destinazione. Inoltre dalle indagini è emerso che Messina Denaro continua a comunicare per mezzo di “pizzini”, biglietti di carta ripiegati fino all’inverosimile, che – comer riportato da La Repubblica – riescono a viaggiare per tutta la Sicilia (e forse non solo) grazie al lavoro di fidati postini. (agg. di Dario D’Angelo)



ARRESTATO VITO NICASTRO, FINANZIAVA LATITANZA MESSINA DENARO

L’obiettivo è uno: mettere le mani sul capo di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro. E dopo l’arresto di Vito Nicastri, il re dell’eolico da Roma in giù, sembra stringersi il cerchio attorno al capo dei capi della mafia. Proprio lui, quello che il Financial Times si spinse a chiamare il “signore del vento”, nella notte è finito agli arresti insieme ad altri 11 boss con l’accusa di aver contribuito a finanziare la latitanza del ricercato numero uno d’Italia. In che modo? Anche attraverso le operazioni di compravendita sui vigneti che furono dei potenti esattori Salvo e che Messina Denaro ha ordinato di acquisire perché non sfuggissero al controllo della mafia. Al boss, infatti, è finita una parte dei 700 mila euro ricavati quattro anni fa da quella che Il Corriere della Sera non esita a definire un’acrobatica manovra finanziaria, tradottasi in un’asta giudiziaria truccata. Obiettivo degli arrestati realizzare notevoli investimenti in colture innovative per la produzione di legname oltre che sviluppare attività di ristorazione. Il tutto con l’intento di ricavare, oltre che un arricchimento per le cosche locali, anche gli introiti per continuare a garantire la latitanza dorata di Matteo Messina Denaro.



LA BORSA PIENA DI SOLDI E I BOSS IN MANETTE

Oltre a quello di Vito Nicastri, sono diversi i nomi eccellenti toccati dall’operazione eseguita nella notte dai Carabinieri del comando provinciale di Trapani, dai Ros e dagli agenti della Dia, che ha visto impegnati oltre 100 uomini. In manette sono finite in tutto 12 persone su richiesta del procuratore Francesco Lo Voi e dell’aggiunto Paolo Guido della Dda di Palermo. Si tratta in particolare dei vertici mafiosi dei centri agricoli di Vita e Salemi, boss capaci di arrivare grazie ai loro traffici nei cosiddetti salotti buoni della provincia. Ma qual è il legame tra questi arresti e Matteo Messina Denaro? Tutto parte dalle dichiarazioni di Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del capo dei capi, l’imprenditore di Castelvetrano in rotta di collisione con la cupola dopo un arresto e ormai defunto. A detta del pentito, Nicastri avrebbe consegnato ad un boss adesso in cella, Michele Gucciardi, una “borsa di soldi” (pare da 200mila euro) destinata a Messina Denaro. Gucciardi l’avrebbe consegnata nelle mani di Cimarosa, che a sua volta sostiene di averla passata a Francesco Guttaduaro, nipote prediletto di Messina Denaro successivamente recluso in regime di 41 bis. I soldi sarebbero derivati da un’operazione finanziaria a Pionica, ricca contrada agricola di Salemi.



IL RUOLO DI ANTONIO D’ALI

Nell’inchiesta che ha portato all’arresto dei boss di Vita e Salemi legati a Matteo Messina Denaro spunta anche il nome dell’ex senatore Antonio D’Alì. Proprio lui, nel settembre 2014, è stato immortalato dagli inquirenti mentre prende parte ad un incontro insieme al boss Antonio Gucciardi, due suoi fratelli e Girolamo Scandariato, tutti accusati di associazione mafiosa nel blitz coordinato dalla procura di Palermo e attuato con i carabinieri dalla Dia. Come riporta Il Corriere della Sera, l’ex sottosegretario D’Alì e il fratello Giacomo avrebbero ceduto in affitto 22 ettari di terreni consentendo di fatto ai boss di coltivare una piantagione di paulonia, albero proveniente da Cina e Giappone, caratterizzato da un legname leggerissimo ma fortissimo oltre che da alte proprietà termiche e fonoassorbenti. Gli avvocati del senatore sono pronti a parlare di “insinuazione priva di rilevanza penale” ma è certo che queste sue frequentazioni border line potrebbero pesare non poco nel processo dinanzi alla Corte di Appello di Palermo, che lo vede imputato per concorso esterno in associazione mafiosa.