C’è una caratteristica che personalmente mi ha sempre colpito di papa Francesco: è quella sua predisposizione positiva, quella sua simpatia “a prescindere” nei confronti delle persone che lo porta a presentarsi a noi sempre a mani piene. Ogni volta che si leggono le sue parole o si legge qualcosa che lo riguarda, ci è sempre riservata una sorpresa. Sorprese che ogni volta fanno contenti come se ci fosse stato fatto un regalo inaspettato. In cinque anni i regali sono stati tanti, regali quasi quotidiani. Ho provato a selezionarne cinque. Cinque regali che non si possono dimenticare.



Il nome innanzitutto. La scelta di chiamarsi Francesco, primo papa a farlo, era quasi un dire già tutto di sé sin dal primo passo. Un vero regalo, come se avesse avvertito che il mondo aveva un grande bisogno di Francesco, nel senso della semplicità e anche della determinazione del santo di Assisi. Francesco è un santo che tanto ama e tanto esercita una lucidità di giudizio. Tanto ama le persone, tanto le richiama al rispetto di ciò che è stato donato: il tesoro della Terra. Ma scegliere di chiamarsi Francesco (senza numero) equivale ad un abbraccio: “Abbracciare, abbracciare. Abbiamo tutti bisogno di imparare ad abbracciare chi è nel bisogno, come ha fatto san Francesco”, aveva detto il Papa a Rio de Janeiro il 24 luglio 2013.



La casa. Francesco ha scelto sin dal primo giorno di rinunciare all’appartamento pontificio. Una scelta d’istinto, per uno abituato a sentirsi a casa nelle periferie del mondo. Ma questa piccola rivoluzione ha voluto anche dire altro. Ha detto a tutti che il papa non “si apparta”, e che vuole stare sempre in relazione con gli altri. Francesco ha un’innata natura comunitaria. Non si concepisce senza rapporti, a partire dal quello vitale con la persona di Gesù, e poi a scendere con tutti gli uomini figli di Dio. La scelta di vivere nel residence di Santa Marta è una scelta di normalità; una scelta che toglie ogni enfasi sul ruolo del papa e sulla necessità molto forzosa di dover essere sempre protagonista della storia, nel senso mondano del termine.



La messa del mattino. È un regalo conseguente a quella della casa, ma che trasforma questa scelta in un vero regalo per tutti. La messa del mattino davanti ad una piccola platea di fedeli nella cappella di Santa Marta, è un gesto semplice, familiare, condiviso. Le parole dette durante le meditazioni hanno la grazia di un’informalità che passa agli atti sempre solo per intermediazione di un testimone (il giornalista chiamato a narrare ciò che il papa a detto). È un papa poco cattedratico e molto prossimo quello che ci viene regalato quasi ogni mattina, nella cronaca con virgolettati della messa.

Il san Giuseppe dormiente. È la scultura che papa Francesco tiene sulla credenza all’ingresso delle sue stanze a Santa Marta. Sotto la piccola statua mette i biglietti con riassunte le questioni più difficili che deve affrontare. Affidarle ad un santo che dorme, significa far proprio il suo metodo: fidarsi e seguire. Giuseppe è l’icona dell’uomo che sa riposare perché poggia la testa tra le braccia di Dio e che quindi non è divorato dallo sforzo di dover far tutto da solo. E dormendo, sogna: “Vorrei chiedere, ci dia a tutti noi la capacità di sognare perché quando sogniamo le cose grandi, le cose belle, ci avviciniamo al sogno di Dio, le cose che Dio sogna su di noi”.

L’odore delle pecore. Tra mille immagini che hanno segnato gli interventi di papa Francesco in questi cinque anni, questa è forse la più sorprendente e quindi il regalo più grande. “Vi chiedo: siate pastori con l’odore delle pecore, che si senta quello; pastori in mezzo al vostro gregge”, disse in una delle prime omelie dopo essere eletto. È un’immagine che riporta la fede nella concretezza anche “sporca” della vita. Che ributta la fede nella grande mischia della vita. Non per una semplice buona volontà sociale, ma per rendere più facile l’irrompere della grazia (“È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia”, aveva detto in quella stessa occasione). “L’odore delle pecore”: cioè noi, non per quello che si pretende dovremmo essere, ma per quello che siamo. 

Leggi anche

IL PAPA E LA GUERRA/ Mentre la carne sanguina, il realismo della pace viene solo dal VangeloPAPA FRANCESCO/ Lo sguardo di Bergoglio su ambiente, economia e guerreUCRAINA, RUSSIA, EUROPA/ "Dal corpo di pace alla dittatura Ue, cosa mi ha detto papa Francesco"