La notizia è di quelle, ormai, ricorrenti: a Cassino è stata eretta una stele in memoria dei paracadutisti tedeschi che combatterono nella cosiddetta “grotta Foltin”. Qui, in via de Bisasio, scavata nel fianco della montagna, avevano sede infermeria e quartier generale del capitano Ferdinand Foltin in una delle più feroci battaglie della seconda guerra mondiale. Sulla stele è raffigurato un paracadute e la scritta “A memoria e monito in ricordo delle vite stroncate dall’assurdità e dalla violenza della guerra”. Poca roba, si dirà. Eppure tanto è bastato perché l’Anpi e il governatore del Lazio Nicola Zingaretti gridassero allo scandalo e all’insulto nei confronti di quanti patirono l’oppressione nazista. E’ interessante questo tipo di reazione: una specie di riflesso condizionato, come la salivazione dei cani sottoposti all’esperimento di Ivan Pavlov.
E’ notizia di ieri 18 marzo che l’inaugurazione della stele è stata sospesa dal sindaco. Non tutto il male viene per nuocere, dando così l’occasione di ripensare ai fatti e di avviare alcune iniziative che valgano stemperare le tensioni.
In realtà la stele fa parte di un percorso storico della battaglia, attivo dal 2015, e che vede tra i promotori l’Associazione Albergatori Parco di Montecassino e Linea Gustav. Perché, sia detto senza cinismo, almeno il turismo dei reduci stranieri (tedeschi, americani, inglesi, neozelandesi, polacchi e altre sei o sette popoli) è solo un parziale risarcimento per la completa distruzione della città. Ma l’Anpi e Zingaretti non ci sentono da questo orecchio. Si parla di tedeschi e subito si inalberano, tanto più che a scoprire la stele dovevano esser il sindaco Carlo Maria D’Alessandro e il generale Hans Werner Fritz, presidente della Confederazione tedesca paracadutisti. Per il sottoscritto, che ha visitato il campo di battaglia di Cassino e ha pubblicato un libro (Il paradiso devastato, ndr) proprio sulla campagna d’Italia, è un’iniziativa meritoria. Anche perché si tratta di rilevare il coraggio sovrumano dei “diavoli verdi” tedeschi, ammirati dagli stessi nemici per la loro eccezionale resistenza. Di partigiani, invece, nella battaglia di Cassino, non se ne vide nemmeno uno.
Tutt’al più, se e quando si farà l’inaugurazione, andrebbe fatta al generale Fritz una controproposta interessante. Erigere una stele in memoria di quei valorosi, sia a Cassino che a Ortona, in Abruzzo, ma con una contropartita: visitare Pietransieri e, come fece Willy Brandt a Varsavia, mettersi in ginocchio davanti alle tombe dei 120 civili, in gran parte donne e bambini, assassinati dai tedeschi della 1a divisione paracadutisti nel novembre del 1943 perché non si decidevano a lasciare le proprie abitazioni. Un massacro compiuto perché i parà dovevano sgombrare la zona e obbedire agli ordini. E proprio a Petransieri bisognerebbe fare come a Bolzano dove, sulla facciata di un palazzo costruito durante il fascismo e recante la scritta “Credere, obbedire, combattere” è stato apposto un motto di Hannah Arendt, “Nessuno ha il diritto di obbedire”. Solo così verrebbe resa giustizia alle vittime e agli eroi, in modo imparziale e salvando la memoria storica, tenendo conto che, generalmente, i parà tedeschi tennero un comportamento sostanzialmente corretto.
Ma un’altra modesta proposta può essere avanzata da queste pagine proprio all’amministrazione comunale di Cassino: una stele, una lapide, un memoriale, qualcosa, insomma, che renda grazie al generale Fridolin von Senger und Etterlin. Il quale von Senger ebbe un grave difetto: quello di essere un generale troppo in gamba per gli Alleati perché fu lui a difendere il fronte di Cassino con una perizia e un acume eccezionali. Provocazione? Non poi tanto. Forse non tutti sanno che von Senger era cattolico, terziario benedettino, refrattario al nazismo ma stimato per la sua bravura da Albert Kesserling. E fu proprio questa stima che salvò von Senger dalla fucilazione nel settembre 1943. All’epoca von Senger era in Corsica subito dopo l’armistizio e aveva catturato decine di ufficiali italiani. Una sera arrivò il Fuhrerbehfel, l’ordine diretto di Hitler al quale non si poteva disobbedire pena la morte: fucilare tutti gli ufficiali italiani. Durante la guerra quasi tutti gli ufficiali tedeschi hanno obbedito senza discutere, ma von Senger doveva salvare la propria anima: non aveva “il diritto di obbedire” a un ordine simile. Così fece imbarcare tutti gli italiani sulla prima nave in partenza e poi telefonò a Kesserling manifestando l’impossibilità di eseguire l’ordine. Smiling Albert mangiò la foglia ma lasciò perdere e bene fece, perché Von Senger diresse, come si è detto, il fronte di Cassino e non solo. Fece evacuare i civili e l’abate Gregorio Diamare dall’abbazia, mettendo in salvo tutto ciò che si poteva trasportare perché non fosse distrutto dagli Alleati. Inoltre non utilizzò mai l’abbazia come struttura militare se non dopo il disastroso bombardamento alleato del febbraio 1944: un delitto e un errore, questo, tra i più stupidi e terrificanti della guerra.
Dopo Cassino, von Senger divenne responsabile della difesa di Bologna e riuscì a pacificare una città dove fascisti e comunisti commettevano crimini orrendi ogni giorno. Diede il benservito a parecchi fascisti sanguinari riportando un ordine tollerabile, dato che la città era in prima linea e non solo: quando la Linea Gotica fu sfondata, abbandonò Bologna senza combattere, rinunciando a farne una Stalingrado che avrebbe causato altre vittime (e sia permesso un dato personale: tra queste possibili vittime c’era anche Lionello Leoni, di anni 15, mio padre). Un raro generale tedesco, dunque, in cui l’umanità era pari alla perizia: proprio perché così raro, sarebbe il caso che Bologna e Cassino gli dedicassero un tardivo riconoscimento. Quanto ai cani di Pavlov dell’ideologia corrente, ricordare come la storia sia complessa pare abbastanza inutile. La responsabilità di studiare e giudicare resta sempre personale.