La sera del 19 marzo Marco D’Antona, sceso dal treno che da Modena dove insegnava alla facoltà di economia, l’ha riportato a Bologna, inforca la sua bicicletta per recarsi a casa. Alla stazione lo aspettano però due dei terroristi delle cosiddette Nuove Brigate Rosse che lo pedinano fino all’abitazione avvertendo i complici. Davanti al portone di casa ci sono altri tre brigatisti, due su un motorino e un terzo a piedi. Quelli del motorino indossando un casco integrale per non farsi riconoscere e quando lo vedono spuntare gli si fanno incontro e gli sparano sei colpi, poi fuggono. Marco Biagi muore esattamente otto minuti dopo tra le braccia di uno degli operatori del 118 arrivati sul posto. “Se Marco Biagi avesse avuto la scorta non saremmo riusciti ad ucciderlo. Per noi due persone armate costituivano già un problema. Non eravamo abituati ai veri conflitti a fuoco. Avremmo dovuto fare più attenzione, osservare possibili cambiamenti nella situazione del professore. Dovevamo controllare che non fosse solo. Invece arrivò alla stazione di Bologna da solo” commenterà poi durante il processo una del gruppo, Cinzia Banelli. Una morte evitabile, causata dall’incapacità operativa dello stato (Agg. Paolo Vites)
USATA LA STESSA PISTOLA CHE UCCISE MARCO D’ANTONA
Era la stessa pistola con cui tre anni prima i brigasti avevano ucciso un altro giuslavorista, Massimo D’Antona, quella che venne usata per uccidere il 19 marzo 2002 Marco Biagi. Questi in particolare era al lavoro per la riforma dell’articolo 18, quello che ancora recentemente ha suscitato tante polemiche perché cambiato durante il governo Renzi. Un articolo ritenuto intoccabile dai sindacati perché impediva i licenziamenti degli operai (tranne ovviamente casi particolarissimi). E Biagi in questo senso era visto dai terroristi come un nemico al servizio dei padroni. Così D’Antona, uomini dello stato che certamente non volevano fare alcun torto ai lavoratori ma solo ammodernare le procedure di quel mondo, adattandole ai tempi moderni. Un anno dopo la legge a cui lavorava, chiamata appunto legge Biagi, venne approvata dal governo, una legge che dava maggior flessibilità nei contratti con lo scopo di rendere più semplici le assunzioni, dando così più possibilità di lavoro. Altro che nemico dei lavoratori, ma le Brigate Rosse d’altro canto non hanno mai brillato per intelligenza (Agg. Paolo Vites)
IL FIGLIO DI BIAGI ACCUSA BARBARA BALZERANI
Esattamente 16 anni fa le Nuove Brigate rosse uccisero il giuslavorista Marco Biagi. Oggi nella piazzetta vicino alla casa, in pieno centro a Bologna, dove il commando di terroristi colpì il professore, si celebra l’anniversario della sua morte. E parla, come poche altre volte ha fatto, il figlio più piccolo, Lorenzo. Lo ha fatto commentando le parole di Barbara Balzerani, l’ex brigatista condannata per l’omicidio di Aldo Moro. «Provo un grande disgusto, anche perché offende noi vittime e tutte le persone che hanno sofferto. Sono solamente degli assassini. Dovrebbero tacere e basta». Chiede rispetto Lorenzo Biagi e lo fa a nome di tutte le vittime «perché una frase del genere credo che sia completamente irrispettosa nei nostri confronti». E poi ha aggiunto: «Il monopolio della parola non lo vogliamo avere noi vittime, ma non lo dovrebbero avere di certo loro che sono solamente degli assassini e dovrebbero tacere e basta».
MARCO BIAGI: MATTARELLA LO RICORDA, SCRITTE CHOC A MODENA
Il figlio più piccolo di Marco Biagi ha parlato anche del caso della mancata scorta. Al professore venne negata la protezione alcuni mesi prima dell’omicidio, nonostante le continue richieste di Biagi al governo. «Lo Stato ha abbandonato mio padre. Aveva una scorta fino a pochi mesi prima di essere ucciso, fino al novembre del 2001. Per cui penso che il fatto che gli sia stata tolta senza motivo o comunque con una grande sottovalutazione del pericolo sia una cosa molto grave. E spero che questo non capiti più ad altre persone o ad altre figure come lui», ha dichiarato Lorenzo Biagi, come riportato dal Secolo XIX. Intanto a Modena, città dove il giuslavorista insegnava, sono apparse scritte infamanti sui muri dell’università: «1000 Biagi», «Marco Biagi non pedala più». Di Marco Biagi ha parlato anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Sono trascorsi sedici anni dal crudele agguato in cui venne ucciso Marco Biagi e la ferita inferta dai terroristi assassini è ancora aperta nella nostra comunità civile».