Anche quest’anno, il 20 marzo sarà dedicato allo World Happiness Day. Istituito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 marzo del 2012, lo Happiness Day invita, almeno nell’intento dei suoi promotori, a celebrare la felicità come “scopo fondamentale dell’umanità”. Quello della felicità è infatti un desiderio davvero insopprimibile e ogni civiltà, da che mondo è mondo, ne porta impresse le vestigia.



Doveroso il riferimento al popolo d’Israele che, nel libro dei Salmi, si interroga circa la domanda di felicità iscritta nel cuore di ogni uomo: “C’è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene?” (Sal. 33,13).

Ma anche nel Prologo della sua Regola, San Benedetto, vissuto tra il V e il VI secolo dopo Cristo, riecheggia il medesimo adagio: “Chi è l’uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici? Se a queste parole tu risponderai: ‘Io!’, Dio replicherà…” (cfr Prol. 15-16).



Perché questa domanda ottenga dunque un’eco reale nella vita di ciascuno, occorre che ci sia un “io”, un soggetto consapevole, in grado di coglierne tutto il portato esistenziale.

Se al giorno d’oggi viene considerato scientificamente possibile “misurare” la felicità di un popolo, è senza dubbio interessante indagare quali siano i parametri utilizzati per stabilire che cosa “garantisca” o, quanto meno, favorisca la possibilità di essere felici. 

Speranza di vita, generosità, sostegno sociale, assenza di corruzione: ecco le variabili imprescindibili impiegate per elaborare la classifica mondiale della felicità in 156 paesi, con un indice misurabile da 0 a 10. Va segnalato il fatto che, agli obiettivi specifici del 2018, è stata aggiunta un’ulteriore analisi relativa al gradimento dei migranti nelle diverse aree di accoglienza.



Sono ancora gli Ebrei ad illuminarci circa la dimensione e il peso “sociale” dell’essere felici; Dio stesso parla al Suo popolo e promette la felicità purché il popolo rispetti certe condizioni: “Sappi dunque oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n’è altro. Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore tuo Dio ti dà per sempre” (Dt. 4,39-40). La felicità ha dunque a che fare con il rispetto di una legge e l’adempimento a dei comandi; esige, per potersi in qualche modo realizzare, il riconoscimento di un’origine e di un’appartenenza. 

Non è dunque qualcosa che si possa ottenere a buon mercato e tuttavia neppure la si può perseguire con uno sterile volontarismo, frutto di titanici sforzi. 

Per essere felici, insomma, non ci si deve “sforzare” perché la felicità accade come “un bel giorno”. 

E tuttavia solo una libertà educata è in grado di riconoscere la felicità, quella vera! Spesso succede infatti che si insegua non la felicità, ma delle sue immagini o dei suoi surrogati. 

In un discorso ai giovani, Benedetto XVI ebbe a dire: “La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze, per quanto utili molti di tali eventi possano essere. È una ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia” (Sidney, XXIII Giornata mondiale della gioventù, 17 luglio 2008). Il messaggio è chiaro e inequivocabile: solo nella verità, nel bene e nel bello può realizzarsi la promessa di una felicità piena e duratura. 

Quid animo satis? Nella domanda di Sant’Agostino si cela l’interrogativo drammatico che percorre tutta la storia umana. La risposta c’è, ma non è reperibile in una definizione quanto piuttosto in un’esperienza che, chiunque la facesse, mai potrebbe cancellarla dal proprio cuore; eluderla forse, ma cancellarla mai!

Chissà se ai nostri fratelli finlandesi, primi nella classifica dei paesi felici di questo 2018, basterà davvero trascorrere i loro week end nel mökki (casetta sul lago) di proprietà (cfr F. Seneghini, Corriere della Sera, 14 marzo 2018) per toccare finalmente l’apice di una felicità piena di gusto e di soddisfazione. E tuttavia, se tornando al lavoro, il lunedì, dovesse affacciarsi in un angolo remoto del loro cuore un inspiegabile senso di malinconia e di tristezza, guai ad ignorarlo mascherando il disagio con la scusa, magari, di una cattiva digestione o di un lavoro poco gratificante! Prenderlo sul serio, quel disagio, fino a trattarlo come una risorsa, potrebbe svelare, imprevedibilmente, che anche un lunedì freddo e bigio può nascondere l’alba del “bel giorno”! Ma questo, sicuramente, non vale solo per i finlandesi.