La cosa più orribile che Barbara Balzerani ha ottenuto è stata quella di mettere in condizione le vittime di doversi difendere, una specie di reiterazione del delitto già subito e mai cicatrizzato. I figli di coloro che sono stati assassinati dalle Brigate rosse — di cui la Balzerani era una capessa rinomata — sono stati infatti interpellati per commentare 1) le frasi della signora, da tempo libera conferenziera, in un centro sociale di Firenze; 2) la decisione della Procura della città toscana di aprire un fascicolo su quelle parole, senza specificazione di reato.



Ecco le parole della (ex?) terrorista, pronunciate con tempismo mediatico strepitoso, il 16 marzo, quarantesimo anniversario della strage di via Fani e del sequestro di Aldo Moro: “C’è una figura, la vittima, che è diventato un mestiere, questa figura stramba per cui la vittima ha il monopolio della parola. Io non dico che non abbiano diritto a dire la loro, figuriamoci. Ma non ce l’hai solo te il diritto, non è che la storia la puoi fare solo te”.



Ed ecco che Maria Fida Moro prima di parlare è stata così costretta a spiegare che non ci ha guadagnato nulla andando a parlare di suo padre. Lorenzo Conti, figlio dell’ex sindaco di Firenze ucciso dai terroristi delle Brigate rosse il 10 febbraio 1986, aveva annunciato querela proprio contro la (ex?) Br: “Non sono una vittima di mestiere, lavoro in banca e non ho mai percepito nulla dalle interviste o dagli incontri a cui ho partecipato”.

Questa faccenda è raccapricciante se ci pensate bene. L’assassino chiede alla vittima di esibire le credenziali prima di esprimersi. Certo ne ha diritto — ammette benevola la Balzerani (o Balzarani, sono giuste entrambe le grafie) — ma oddio che schifo questa parata delle vittime. Manca solo che chieda loro le royalties perché partecipando alle stragi delle Br ha consentito loro di essere qualcuno, di farsi intervistare, quasi fosse gente al livello di un guerrigliero.



Ora non sappiamo se ci sia un reato ascrivibile alle parole pronunciate dalla “esponente della colonna romana”, se sia diffamazione o che altro. Di certo essa ha fatto da perfetta colonna sonora al servilismo che fior di giornalisti hanno dedicato ai suoi compagni di delitto.

Ci deve essere un modo diverso di rispettare la verità storica e insieme il dolore delle vittime e la dignità persino degli assassini, senza parificare la figura dell’agnello e quella del carnefice. Certo anche il lupo ha ben diritto di esprimersi, ma prima si pulisca i denti dal sangue. Non si compiaccia con aria di superiorità delle carni lacerate in nome di una propria presunta purezza. In quel caso parli pure, dica quel che vuole, insulti, ingiuri, berci, minacci. Ma sotto la sua immagine accanto al nome e cognome, mettiamoci la foto di chi questa gente ha ammazzato.