Proseguirà il grande riassetto dei media della Santa Sede? Era stato monsignor Dario Viganò, appena tre mesi fa, ad annunciare le linee strategiche della svolta dopo aver ricevuto da Papa Francesco la nomina a prefetto della neonata Segreteria per le Comunicazioni. Dopo le dimissioni di Viganò — accettate ieri dal Pontefice — resta da condurre a termine una mission di primo livello, per il Vaticano e la Chiesa cattolica. Quali siano le intenzioni di Papa Francesco, sono state messe nero su bianco nella lettera di ringraziamento a Viganò: che rimarrà al dicastero come assessore per mantenere “il contributo umano e professionale al nuovo prefetto al progetto di riforma voluto dal Consiglio dei Cardinali, da me approvato e regolarmente condiviso. Riforma ormai giunta al tratto conclusivo con l’imminente fusione dell’Osservatore Romano all’interno dell’unico sistema comunicativo della Santa Sede e l’accorpamento della Tipografia Vaticana”.



Alcune indiscrezioni, a caldo, guardano a monsignor Paul Tighe, vescovo irlandese, attualmente segretario del Pontificio Consiglio per la Cultura. Chiunque sarà il successore di Viganò gli obiettivi e gli strumenti del riassetto sono stati individuati in modo preciso: e non si è trattato di un mero disegno tecnico-organizzativo, ma di un vero e proprio atto ecclesiale, pienamente inserito nel magistero pastorale del Pontefice.



La decisione di accorpare i diversi canali-media della santa Sede in una “newsroom unica” (Vatican News) è maturata anzitutto per rispondere alla domanda concreta di chiarezza, semplicità e trasparenza. La comunicazione della Santa Sede (della Chiesa cattolica) dev’essere pienamente accessibile e distinguibile. Deve raggiungere tutte le periferie e nel tragitto deve mantenersi integra e forte, non perdersi negli oceani delle fake news. Di qui l’orientamento deciso alla comunicazione digitale: la tecnologia più efficace e meno costosa, sia nella produzione che nella fruizione. Di qui anche la scelta — molto impegnativa — di superare i 156 anni di storia dell’Osservatore Romano: marchio prestigiosissimo di grande tradizione giornalistica, rimasto tuttavia ancorato a un format di quotidiano cartaceo divenuto in sé datato. Di qui, non da ultimo, la messa in cantiere di una razionalizzazione delle strutture di comunicazione vaticane. 



La sobrietà è assai più che uno stile, nella Chiesa di Papa Francesco: è la testimonianza quotidiana cui la Evangelii Gaudium e la Laudato si’ chiamano tutti i cattolici, operatori della comunicazione compresi. I mezzi economici e tecnologici messi a disposizione della comunicazione ecclesiale sono uno strumento, non un fine. Vanno utilizzati senza sprechi e nel modo più corretto. E’ un percorso molto sfidante: da un lato è necessario misurarsi alla pari sul “mercato delle notizie”, con professionalità e imprenditorialità competitive con quelle di milioni di provider. Dall’altro è necessario mantenere la qualità che non può non contraddistinguere la voce della Chiesa cattolica anche sul terreno squisitamente mediatico. 

Per questo commetterebbe un errore chi archiviasse l’avvicendamento di ieri alla Segreteria per la Comunicazione alla stregua di un fatto di cronaca spicciola, con quelle categorie interpretative. E le parole — assolutamente non di circostanza — rivolte dal Papa a Viganò interrogano e sollecitano non solo la Santa Sede, ma tutta la comunità ecclesiale: a cominciare da quella italiana, tutte le diocesi, tutte le realtà associative, tutti i movimenti. Qual è lo stato del sistema-media dei cattolici italiani? Quante risorse vi sono destinate, in quali strumenti, con quali risultati? 

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