La Corte Costituzionale, nel bocciare il Decreto salva-Ilva dello scorso 2015 ha rilevato alcuni dubbi ulteriori sulle procedure che hanno portato l’esecutivo a prendere quella particolare scelta a garanzia della produttività: la norma che è stata varata con decreto, è stato poi in un secondo momento abrogata con la Legge di conversione di un altro decreto, e infine inserita nuovamente in un articolo di quest’ultima legge. «È stata usata una clausola che manteneva per il passato gli effetti già prodotti», si legge nelle carte della Consulta riportate dal Sole 24 ore. Era però stata la stessa Corte Costituzionale a dare il via libera al legislatore sull’intervento per consentire la prosecuzione dell’attività in stabilimenti di interesse nazionale: tutto questo avveniva quando nell’aprile 2013 il Governo Monti già aveva espresso il primo decreto Ilva e la magistratura di Taranto aveva sollevato presunti dubbi di costituzionalità. Secondo la Consulta però quel primo decreto aveva comunque rispettato l’indicazione della Corte di bilanciare le esigenze del lavoro e della salute; nel caso invece del decreto salva-Ilva del 2015 questo «principio fondamentale non è stato osservato». Da qui dunque la sentenza sull’incostituzionalità.
SENTENZA ILVA BOCCIA IL GOVERNO
Secondo l’ultima sentenza della Consulta, è stato considerato incostituzionale il decreto salva Ilva che nel 2015 – durante il Governo Renzi – consentiva la prosecuzione dell’attività di impresa degli stabilimenti in quanto di «interesse strategico nazionale, nonostante il sequestro disposto dall’autorità giudiziaria per reati inerenti la sicurezza dei lavoratori». Lo ha stabilito questa mattina con la sentenza 58, a suo modo storica, la Corte Costituzionale: in poche parole, il Governo Renzi formulando quel decreto non ha tenuto conto della tutela della vita dei lavoratori dell’immensa industria multinazionale che lavora l’acciaio, ma ha salvaguardato solo la produttività. Questo dicono le pagine che i giudici della Consulta hanno depositato a Roma con il rischio di provocare un altro forte scossone all’industria pugliese dopo gli ultimi 4 anni di incubo tanto di gestione quanto di sicurezza. Nasce infatti tutto dall’infortunio mortale di un lavoratore dell’Ilva esposto senza le adeguate protezioni del caso alle attività pericolose nell’area di un altoforno dell’industria di Taranto. «L’altoforno era stato sequestrato dall’autorità giudiziaria ma, pochi giorni dopo, il legislatore aveva disposto la prosecuzione dell’attività di impresa, alla sola condizione che entro trenta giorni la parte privata colpita dal sequestro approntasse un piano di intervento contenente ‘misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, non meglio definite», come spiega l’Ansa.
COMMISSARIO LAGHI, “SENTENZA NON INCIDE SU OPERATIVITÀ”
«Il provvedimento voluto dal Governo Renzi a differenza di quanto avvenuto nel 2012 – ovvero quando l’esecutivo italiano superò il sequestro chiesto dalla procura in seguito all’indagine Ambiente Svenduto – hafinito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa», scrivono i giudici della Consulta. Quegli stessi diritti, conclude la Corte, sono da ritenersi inscindibilmente connessi al diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso; e ora, dunque, che succede? In termini immediati nulla, secondo la stessa azienda, che con una nota ha subito commentato la decisione della Consulta: «La pronuncia della Consulta sul decreto del 2015 non ha alcun impatto sulla continuità dell’attività produttiva in quanto la restituzione dell’Altoforno 2 è stata ottenuta da Ilva nel settembre 2015 non in base al decreto dichiarato illegittimo, ma in forza di un provvedimento della Procura che, accogliendo un’istanza della società, ha restituito l’impianto condizionatamente all’adempimento di determinate prescrizioni in materia di sicurezza, poi attuate». Secondo un’altra nota rilasciata dal Commissario Straordinario dell’Ilva, Enrico Laghi, la sentenza viene giudicata non in grado di fermare la produttività attuale della multinazionale che sta cercando di uscire da mesi, anni di sofferenza continua; «Pur in presenza del decreto legge oggi giudicato incostituzionale, per il dissequestro dell’altoforno avevamo scelto di intesa con la Procura di Taranto la via ordinaria prevista dal codice di procedura penale». Secondo Laghi, le norme del decreto del Governo Renzi, avrebbero rappresentato di fatto solo una soluzione alternativa che però non è stata comunque perseguita; «Per questo motivo – conclude il Commissario Straordinario – non c’è nulla da temere per Ilva dalla sentenza della Corte Costituzionale».