All’omicidio di Alberto Musy, avvocato, docente universitario e consigliere comunale di dell’Udc di Torino, è dedicata la nuova puntata della trasmissione Un giorno in Pretura, in onda su Raitre nella seconda serata di oggi, sabato 24 marzo. Al caso sono state dedicati due appuntamenti del programma di Roberta Petrelluzzi, a dimostrazione della sua complessità. Tutto parte il 21 marzo 2012; sono passate da poco le 8:00 e Alberto Musy sta per rincasare dopo aver accompagnato a scuola due delle sue quattro figlie. Le telecamere del sistema di videosorveglianza della zona, in pieno centro a Torino, immortalano un uomo con impermeabile e un casco integrale: lo stesso suona alla porta dell’avvocato con la scusa di dover consegnare un pacco. Passano pochi minuti quando il misterioso uomo scarica addosso a Musy un revolver, squarciando il silenzio. Furono cinque i colpi che centrarono il consigliere comunale, tra cui uno alla testa, rivelatosi poi letale. L’uomo sarebbe morto in ospedale dopo 19 mesi di coma, durante i quali le indagini non si fermarono mai, cercando in più direzioni differenti, dalla vita privata a quella professionale della vittima, passando per la sfera politica. Trascorsero molti mesi prima di poter giungere ad una svolta decisiva nel caso. Le indagini si rivelarono sin da subito molto complesse. L’avvocato Musy apparentemente aveva una vita tranquilla, senza dissapori, dividendosi tra la professione forense nello studio di famiglia, l’insegnamento universitario a Novara e il suo impegno politico nel ruolo capogruppo dell’Udc in Comune (dopo essere stato già candidato a sindaco per il Terzo Polo). Una esistenza apparentemente limpida, dunque, che rese il lavoro degli inquirenti ancora più difficile. L’attenzione si focalizzò così sui fascicoli del suo studio legale, su presunte iniziative in ambito politico che rischiavano di nuocere, in qualche modo, gli interessi della malavita di Torino ed infine sui suoi rapporti con i colleghi universitari.
La vera svolta nel caso del delitto di Alberto Musy avvenne solo in seguito all’arresto di Francesco Furchì. L’uomo fu ritenuto lo stesso che mesi prima, indossando un casco integrale, con il suo andamento zoppicante aveva raggiunto l’abitazione dell’avvocato aprendo il fuoco contro di lui. Secondo l’accusa, alla base del delitto ci sarebbero stati i rancori nei confronti della vittima rea di non aver sostenuto le sue ambizioni in ambito politico e imprenditoriale. A lui si arrivò grazie alle testimonianze di alcuni collaboratori di Musy che riferirono agli inquirenti di alcuni dissapori tra il collega ed un ragioniere calabrese inserito alla sua lista civica alle ultime elezioni.
L’ARRESTO DI FRANCESCO FURCHÌ E I PROCESSI
La seconda puntata di Un giorno in Pretura dedicata al caso dell’avvocato Musy riparte proprio dall’arresto di Francesco Furchì, incensurato, chiamato a difendersi dalla terribile accusa di omicidio volontario. L’uomo, in realtà, era già stato coinvolto in un procedimento davanti al Tribunale torinese per tentato omicidio, ma dopo la morte di Alberto Musy la sua posizione si aggravò ulteriormente ed il primo processo fu interrotto. Il 31 marzo 2014 prese ufficialmente il via il nuovo procedimento che contemplava a carico dell’imprenditore l’accusa di omicidio volontario premeditato, questa volta davanti a una Corte d’Assise. Secondo l’accusa rappresentata dal pubblico ministero, Furchì avrebbe avuto molti motivi per desiderare ardentemente la morte dell’avvocato Musy tanto da aver messo in piedi un vero e proprio progetto di vendetta. In aula, la ricostruzione di quanto accaduto la mattina del delitto, mentre l’imputato ha continuato fino alla fine a proclamarsi innocente sostenendo di avere un alibi per quella mattina. Eppure, ad incastrarlo, ci sarebbe proprio quella sua camminata caratterizzata da una zoppia simile a quella dell’uomo col casco integrale immortalato dalle telecamere. In fase dibattimentale, un ruolo importante fu giocato anche dal compagno di cella di Furchì, chiamato in causa dall’accusa e ritenuto dalla difesa un soggetto discutibile. Il processo in corte d’Assise si concluse nel gennaio 2015 con una condanna all’ergastolo. Nel novembre del medesimo anno giunse poi la condanna in Appello, che aveva confermato il carcere a vita inflitto all’imputato nel primo grado. Infine, solo lo scorso primo febbraio 2018 è giunta anche la sentenza con la quale è stata confermata in via definitiva la condanna all’ergastolo per Francesco Furchì anche in Cassazione.