Oggi Fabrizio Frizzi è morto. De mortuis nisi bonum, cita un adagio di saggezza e giustizia. E’ così, perché davanti alla morte riusciamo a volare alto, visto che tocca tutti, e sollevarci dalla bassezza delle recriminazioni e delle inimicizie. Quando si tratta di personaggi pubblici, famosi, è difficile poi risparmiare la retorica, l’iperbole, le commozioni facili che servono a mettere in mostra chi le esprime, più che a dar lode a chi non c’è più. Eppure, i messaggi di stima, di affetto, di tristezza, per la scomparsa di Fabrizio Frizzi suonano davvero sinceri. E si capisce che quest’uomo ha lasciato il segno di un’umanità vera, oltreché della sua professionalità indiscussa. 



Guardate il tono delle parole che si spendono oggi per lui: garbato, cortese, elegante, gentile, corretto, amabile, limpido… Evidenziano uno stile, un raro modo di comparire in un mezzo che normalmente deprime o esalta, snaturando la persona, rischiandone la macchietta. 

Fabrizio era un compagno di casa, uno di famiglia, sapeva entrare in salotto come in studio o in cucina, intratteneva senza sbrodolare, mostrava un’alta cultura senza snobismo o supponenza, non urlava mai, sapeva ridere di sé, oltre che sorridere degli altri, ma senza mai scadere nella volgarità, o nella possibilità di ferire. Guardate gli autori dei messaggi in rete, quelli che non hanno modo di fare dichiarazioni in tv. Colleghi, naturalmente, ma tanta gente sconosciuta, e parecchi tra i tecnici che avranno lavorato con lui, in tanti anni di carriera: gente che l’ha visto all’opera, nel retrobottega, dove il rispetto per chi non compare, per chi suda di più è raro, prezioso. E Frizzi ne aveva da vendere, come per le iniziative benefiche per cui sapeva spendersi. 



Sì, ci colpisce di più che la morte tocchi anche “loro”, questi compagni di vita che ci sembra abbiano tanto più di noi, in ricchezza, fama, e dunque felicità. Il loro dolore sembra toccare noi tutti, perché abbiamo imparato a specchiarci in loro, abbiamo sbirciato nelle loro vite, spifferato i pettegolezzi raccolti o letti, siamo entrati nelle loro storie, come se fossero nostre, e dunque la loro sofferenza ci fa pensare, ci rende partecipi e toccati nel profondo. Se capitasse pure per la vecchietta vicina di casa o il compagno di nostro figlio in ospedale! Se capissimo che siamo fratelli, nell’affrontare il male di vivere, fratelli, nell’amare la vita fino all’ultimo, fratelli nel porci di fronte al mistero, con dolente ma forte certezza che il mistero avrà un volto, una via di bellezza eterna. 



Fabrizio Frizzi sapeva la gravità del suo male, sapeva che non ce l’avrebbe fatta, soffriva di non veder crescere la sua bambina. Ha voluto regalare a lei, ai suoi cari, al pubblico cui era caro ancora qualche ora di presenza e sorrisi, a testimoniare che lottare si deve, accettare pure. Non è una resa, ma il coraggio di fare un salto, con lo stupore per un’attesa che avrà infine un luogo, e una risposta per tutto.