Alla fine, con i soldi spesi per i processi, gli avvocati, atti giudiziari e quant’altro, di melanzane se ne potevano comprare un bel po’ e regalarle a quel poveraccio che per sfamare la famiglia aveva cercato di rubarne una, valore pochi centesimi. Sono i paradossi di una giustizia, quella italiana, che si muove ancora sia per la lentezza che per l’accanimento su casi minimi, come non succedeva neanche ai tempi del Manzoni, anzi ai tempi dei personaggi del suo romanzo I promessi sposi, secoli addietro. Non solo: i giudici sbagliano pure, come hanno chiaramente spiegato i colleghi della Cassazione che hanno finalmente messo la parola fine a uno dei casi più assurdi della storia processuale italiana. Era il 2009 quando un uomo allora 40enne, di Carmiano in provincia di Lecce era stato visto con la macchina ferma al ciglio della strada e il portabagli dentro. Chiamata la polizia, dentro era stato trovato un secchio e al suo interno una melanzana. Per gli investigatori la presenza di quella verdura e del secchio significavano in modo innegabile che l’uomo l’avrebbe riempita di melanzane rubate dal campo. Non sia mai: un criminale, un mafioso, un delinquente. Certo, non stiamo dicendo che chiunque può rubare il frutto del lavoro degli altri, ma sarebbe bastato restituire la melanzana e chiudere il caso per pietà di un poveraccio che non ha soldi per comprare da mangiare alla famiglia. Purtroppo per lui, era un criminale cronico, perché già anni prima era stato beccato a rubare del cibo e condannato una prima volta.
I VARI GRADI DI GIUDIZIO
Due gradi di processo risultavano in una condanna per recidiva e furto. Finalmente nove anni dopo è intervenuta la Cassazione che ha accusato esplicitamente i giudici di Lecce “di svista” e di non aver tenuto conto della “particolare tenuità” del fatto, cioè della piccolezza di quanto accaduto. Il codice penale la prevede, ma per i giudici di Lecce era stato più importante “dare una lezione” al ladrone. Anche il fatto di essere stato già condannato una volta non impedisce di tener conto della piccolezza del gesto: la legge, ricordano i giudici della Cassazione, esclude l’applicabilità della “particolare tenuità del fatto” per chi è considerato “delinquente abituale”. Non per la recidiva, come nel caso concreto. L’uomo si legge nella sentenza definitiva “aveva certamente agito per soddisfare un bisogno alimentare della propria famiglia. Contrariamente a quanto rilevato dai giudici di merito, secondo cui il ricorrente non aveva dimostrato di versare in stato di indigenza, i presupposti della causa di giustificazione emergevano, avendo l’imputato cercato di rubare un solo ortaggio e non altra parte del potenziale raccolto”. A questo punto ci sarebbe voluta un’altra sentenza: chiedere a quei giudici di ripagare tutti i soldi spesi in questi nove anni, oltre a quelli morali per il poveraccio.