Oggi è sabato santo. Il giorno del silenzio. Le campane ammutoliscono, di fronte alla morte di Dio. Tutti ammutoliamo, di fronte alla vicenda dei due sposi di Pegognaga, morti suicidi la sera di giovedì, impiccati davanti agli occhi della figlia di sei anni, dopo aver forse tentato di togliere la vita anche a lei. Che cosa si può dire, di fronte a un dramma così sconvolgente e a prima vista senza ragione, se chi conosceva l’uomo dice “Era un ragazzo d’oro, con una bella famiglia”? Forse davvero davanti a una tragedia così può stare solo il silenzio di Dio.



Poi, forse, qualcuno scaverà nelle loro vite. Scoprirà, magari, che dietro la facciata covavano drammi nascosti, magari debiti, depressione, tradimenti, chissà. Ma non è importante. Dietro un gesto così sta sempre il silenzio di Dio. Il silenzio di Dio, cioè l’assenza di Dio, cioè la mancanza di una compagnia buona, di un affetto fraterno, di quella “carezza del Nazareno” che invocava Enzo Jannacci. C’è sempre il silenzio di Dio, dietro il vuoto che divora il cuore umano fino alla disperazione.



Domani è Pasqua. Domani le donne tornano dal sepolcro con la notizia sconvolgente, il Maestro è risorto. Non c’è un’altra parola che si possa dire, di fronte a una tragedia così: Gesù è risorto. Se Gesù è risorto, anche la corda che ha stretto il collo dei coniugi di Pegognaga non è l’ultima parola sul loro destino. Se Gesù è risorto, c’è una speranza anche per la piccola scampata, muta testimone di un gesto terribile. Se Gesù è risorto, c’è una possibilità di compagnia buona, di un affetto fraterno per le nostre vite, che buchi le solitudini che ci circondano e porti a quelli che incontriamo, come possiamo, la carezza del Nazareno. C’è un compito per tutti, dar voce a Dio nel mondo. Gesù risorto rompe il silenzio di Dio. Gesù risorto ci raggiunga con la sua compagnia, rompa i nostri silenzi — o il nostro vano vociare… — e ci renda capaci di portare la lieta novella, la speranza, agli uomini che incontriamo. È l’augurio di Pasqua che faccio a me e a tutti.

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