LA VALLETTA (Malta) — Ha qualcosa di straordinario l’incontro tra un arcivescovo cattolico e 50 giovani provenienti da una regione con il due percento di cattolici. Reciprocamente straordinario. È accaduto a Mdina. L’arcivescovo di Malta, Charles Jude Scicluna, ha incontrato cinquanta ragazzi della Sassonia Anhalt, che si trovano a Malta per perfezionare la lingua inglese. 



Mons. Charles Scicluna, nato a Toronto (Canada) nel 1959, è stato per dieci anni a fianco prima del cardinale Ratzinger e poi di Benedetto XVI nella lotta agli abusi del clero. Gli abbiamo posto, come gruppo, quattro domande, una delle quali aveva a che fare con l’abuso di minori da parte di sacerdoti cattolici. Ecco le altre tre: a Malta la Chiesa cattolica raggiunge i giovani maltesi? Cosa pensa di un’isola in mezzo al Mar Mediterraneo che per molti profughi è diventato e sta diventando un cimitero? Può la Chiesa di Gesù vivere in un bel palazzo come quello di Mdina? 



In primo luogo si è trattato di un gesto pedagogico e non giornalistico, quindi non ho la pretesa di riprendere parola per parola ciò che ha detto Scicluna, ma di restituire il senso dell’incontro, aperto da una domanda dell’arcivescovo: “Chi siete?”. Una nostra ragazza, Henrike, aveva preparato una breve discorso in cui ha spiegato le linee fondamentali della nostra scuola ed ha ricordato un’incontro internazionale svoltosi la settimana scorsa nell’ambito di un progetto di Erasmus Plus, che porta il titolo di “Tragedia e speranza” e che vede coinvolte tre scuole, una francese, una polacca e la nostra tedesca.



Per quanto riguarda il palazzo di Mdina, ha risposto ridendo che non ci vive, ma lo usa per incontrarvi i gruppi grandi come il nostro. Lui vive con la mamma in un piccolo alloggio. Ha aggiunto che lui è un uomo piccolo e il palazzo, che comunque non gli appartiene, sarebbe per lui troppo grande.  Anche Papa Francesco, che vive in uno stile di vita sobrio, non ha deciso di vendere i musei vaticani. 

Mons. Scicluna, che conosce il maltese, sua lingua materna, l’inglese e l’italiano oltre a diverse altre lingue, ritiene le lingue un’introduzione alla cultura di un popolo. Vede il suo ministero di pastore come una persona che ascolta le persone e cerca di “sentire” con loro e vuole essere un “ponte” che le conduce da una riva all’altra, per esempio dalla solitudine alla comunità. Senza aver la pretesa di poter risolvere tutti i problemi. Cerca di  essere uomo che ama gli altri e Dio e che ha un rapporto personale con Gesù. Ha invitato i ragazzi a leggere il Vangelo per avere un rapporto personale con Gesù senza dapprima aspettare la mediazione ecclesiale o liturgica. 

Per quanto riguarda la pedofilia, ha detto ai ragazzi che non si tratta solo di parlare, ma di agire e di non nascondere nulla. Trasparenza ed educazione! Trasparenza per un fenomeno globale che non coinvolge sono la Chiesa, ma tante altre istituzioni ed anche le famiglie. Educazione dei sacerdoti in modo che i giovani possono vivere la Chiesa come un luogo sicuro. Educazione anche dei giovani, per esempio ad avere coraggio di chiamare per nome ciò che forse si trovano a vivere. Ha invitato i giovani a chiudere la porta alla pornografia in Internet, perché porta in quel luogo in cui vittime e colpevoli si possono incontrare. Ha aggiunto che bisogna avere il coraggio di mettere castità e purezza come priorità importanti della propria agenda personale, in modo da evitare ogni forma di “dipendenza pornografica”.  

La tragedia del “deserto blu”, come ha definito il Papa il Mediterraneo,  deve essere considerata per quello che è: una vera e propria tragedia. Rimandare le persone in Libia è una parte di questa tragedia; le condizioni instabili e del tutto contrarie ai diritti elementari degli uomini del paese rendono una tale scelta del tutto improponibile. Malta non è la meta dei tanti profughi che arrivano al mare vedendolo per la prima volta. Tantissimi di loro vogliono raggiungere l’Italia e poi il nord Europa (per esempio la Germania).

La questione più difficile è quella del rapporto tra la Chiesa e i giovani. Ha detto immediatamente che questa è la domanda più difficile. L’arcivescovo cerca di prendersi del tempo per visitarli nelle scuole, sapendo che non i giovani devono andare alla Chiesa, ma la Chiesa dai giovani. Cerca di ascoltarli con attenzione ed entrare in dialogo con le loro esigenze e domande. Vede in essi tantissimi esempi di generosità e motivi di reale speranza, che non riguarda solo le loro persone, ma problematiche dell’ambiente (ha ricordato in questo contesto la differenza proposta dal Papa nella Laudato si’ tra interessi intergenerazionali e interessi che vanno oltre queste generazioni che vivono ora). Anche la nostra giovane, che aveva introdotto l’incontro, aveva parlato di speranza, proprio attraverso la coscienza della tragedia, sia quella dei genocidi del ventesimo secolo come quello armeno e ebraico sia le tragedie dei nostri giorni. Uno dei nemici più grandi della speranza, ha ricordato infine l’arcivescovo, è la mancanza di lavoro che colpisce tantissimi giovani nel sud dell’Europa.

Forse quello che ha colpito più di tutte le parole è stato l’atteggiamento di naturale accoglienza di mons. Scicluna, che ha spinto un giovane non cattolico a chiedergli di fare una foto da solo con lui.