“Difesa di ciò in cui crediamo e sostegno in politica a chi rispetta le varie esperienze presenti nella società e garantisce la possibilità di svilupparle dal punto di vista educativo”. E’ la sfida dei cattolici, soprattutto oggi, secondo Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto dal 2011. Mons. Santoro è anche presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali. Come presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali, ha avuto un ruolo di primo piano nella ultima Settimana che si è tenuta a Cagliari nello scorso mese di ottobre.
Mons. Santoro, dal suo punto di osservazione della diocesi di Taranto e dei tanti problemi connessi, a partire dal caso Ilva, come giudica la campagna elettorale che si è conclusa?
I temi affrontati hanno assunto spesse volte i toni di promesse velleitarie e di una disputa violenta e senza prendere in considerazione i problemi reali nella vita del Paese, nella prospettiva di dare all’Italia un Governo stabile e un Parlamento che faccia leggi giuste. A Taranto in particolare la situazione è condizionata dal problema dell’Ilva. Qui il dibattito politico è stato caratterizzato da una disputa tutta interna alle posizioni del presidente della Regione, Emiliano e del segretario del Pd Renzi. Sarebbe necessario porre un punto finale all’intera questione Ilva non rimandando alle calende greche la vendita della azienda, ma chiedendo al muovo acquirente uno stop serio e rigoroso alla devastazione ambientale e al tempo stesso esigendo che non ci siano gli esuberi dei lavoratori. Condivido in questo, al di fuori di ogni disputa partitica, le preoccupazioni di Emiliano che vuole precisi e sottoscritti impegni sul tema ambientale.
Ma questa sintesi appare ancora lontana se non impossibile.
Già nel 2013 avevamo avanzato, in un convegno promosso dalla diocesi di Taranto, la proposta di un percorso che prevedesse la decarbonizzazione, cioè la sostituzione del ciclo completo del carbone mediante innovazioni tecnologiche e l’uso di altre forme di energie meno inquinanti, come il gas. Poi, dinanzi ad una disputa interna alla politica, non abbiamo più insistito su questo. Ma adesso la gente vive una grande incertezza e aspetta una decisione che ponga un punto fermo di riferimento. Questo è ciò che noi tutti attendiamo e di questo la campagna elettorale deve tener conto.
Andiamo a temi più generali. I vescovi italiani hanno richiamato molto l’attenzione sul pericolo dell’astensionismo. E’ veramente un pericolo così incombente e perché?
Certo, il pericolo esiste. Anch’io nel messaggio che ho fatto per la Quaresima mi sono sentito in dovere di mettere in guardia di fronte a questo serio pericolo invitando a votare, ad esercitare questo diritto dovere per esercitare una vera responsabilità nei confronti della cosa pubblica. Questo non è tutto, ma è certamente un aspetto importante segno di partecipazione. E’ necessario ravvivare la passione dei cittadini, come ha detto il Papa a Cesena, per l’agorà e quindi per il bene comune.
Proprio a Cesena ad ottobre il Papa ha invitato a non stare al balcone; prima aveva detto di scendere in campo. Che significa per i cattolici questo invito più volte ripetuto?
Rispondo a partire dall’esperienza fatta a Cagliari nella settimana Sociale dei cattolici italiani. Riprendendo tutta la lezione della dottrina sociale della Chiesa sino alla Evangelii Gaudium e alla Laudato si’, abbiamo sottolineato la dimensione sociale della evangelizzazione, perché la fede riguarda e trasforma il nostro rapporto con la realtà. A conclusione della Settimana, che è stata un grande momento di partecipazione, e nella riflessione del “dopo Cagliari” sono emerse tre piste di lavoro.
Ci dica.
La prima è la costituzione in ogni diocesi di un “nucleo di comunione ecclesiale” che veda riuniti i responsabili delle commissioni dei problemi sociali, della consulta per i laici e della pastorale giovanile, e che assuma il problema sociale nei suoi vari aspetti. Questo luogo di comunione deve dare continuità ad un secondo momento operativo, già sperimentato nella preparazione della Settimana, che è la ricerca e lo “sviluppo di buone pratiche” già presenti in tutto il Paese, che insieme al Progetto Policoro sono più di 700 e vanno sotto il nome di “Cantieri di LavOro”. In questo momento vanno valorizzati gli oratori e le altre forme innovative di creazione di lavoro che vedono come protagonisti prevalentemente i giovani anche come risultato della formazione professionale, dove essa funziona bene.
E la politica in tutto questo?
Continuiamo a ripeterlo in quello che chiamiamo “il dopo Cagliari” andando in giro per tutt’Italia: è opportuno che ci sia una forma di “coordinamento dei cattolici impegnati in politica”. Certo non siamo più di fronte all’appartenenza al partito dei cattolici; ci troviamo di fronte ad una pluralità di appartenenze. L’unità dei cattolici deve, quindi, realizzarsi nel modo di affrontare i problemi reali, quelli ad esempio del lavoro, della disoccupazione giovanile, della formazione professionale, dell’ambiente ecc. Posso citare un esempio?
Prego.
A Cagliari erano presenti come osservatori anche una decina di parlamentari. Dal dibattito è emerso proprio questo tema del sostegno alla formazione professionale, i cui finanziamenti erano stati decurtati nella legge di bilancio in discussione in quelli giorni. Se ne sono fatti carico e i finanziamenti sono stati rimessi. Esempio forse piccolo, ma significativo dal punto di vista metodologico. Con altrettanta franchezza devo dire che non abbiamo riscontrato lo stesso impegno nel dibattito sulla legge per il fine vita.
Torniamo alla politica.
Proprio a Cagliari è emersa la necessità della costituzione di un punto di riferimento stabile, che sappia proporre a livello territoriale, anche da parte della comunità ecclesiale, alcune proposte operative, da presentare agli organi competenti. Non si possono escludere centri di riflessione e proposta che seguano i lavori delle diverse amministrazioni monitorando l’efficacia dei programmi e delle leggi in favore in particolare di chi soffre disagi e mancanza di diritti. Nel tempo si potrà giungere ad una forma più articolata di coordinamento, non legata ad una unica appartenenza politica, ma alla soluzione delle sfide che la realtà ci pone per il bene non appena dei cattolici, ma di tutti. L’unità che nasce dalla comune appartenenza alla fede cristiana può diventare nel tempo discernimento profetico e dare risposte ai gravi problemi del lavoro, dell’educazione, della vita e famiglia, della salute, dei migranti, eccetera.
La dottrina sociale della Chiesa può essere ancora una bussola con cui orientarsi nelle tante promesse elettorali dei partiti?
La dottrina sociale della Chiesa è un riferimento sicuro che mette in evidenza due valori fondamentali: la persona ed il bene comune, insieme ai due principi della solidarietà e della sussidiarietà. Questo permette approccio più comprensivo ai problemi reali della gente.
Che cosa significa, in questo contesto, bene comune?
Il bene comune è un principio semplicissimo: se io vedo che una cosa è buona per me, la voglio anche per le persone che ho accanto, non posso essere soddisfatto quando quel bene è limitato solo a me; e poi così come io ho trovato la strada per affrontare il problema in questione, allo stesso modo la propongo anche agli altri. Il bene vero è un bene condiviso.
Il tema del bene comune porta con sé quello dei corpi intermedi. Ma c’è ancora in Italia un interesse reale per questa esperienza? Interessano alla politica di oggi?
Quando mi chiedono come orientarsi nel voto rispondo che bisogna votare non chi ti fa fare gli affari, comprese le nostre opere, ma chi difende la libertà di tutti nel creare opere degne della persona e chi sostiene la creatività che nasce dalla fede o che per lo meno non la censura. Chi fa vivere la mia esperienza nel dialogo con le altre visioni della vita. Senza dimenticare la difesa dei più deboli, delle varie forme di povertà, la difesa della pace, della giustizia tra i popoli e quindi anche dell’accoglienza, fatta con la necessaria prudenza.
Tutto quanto abbiamo detto come può essere sintetizzato?
Ci vuole qualcosa che venga prima dell’economia e della politica, in grado di sostenere le ragioni della vita e che renda in grado di essere critici anche della politica. Questo “prima” si alimenta per la forza dello Spirito e assume uno spessore comunionale e sociale e deve essere difeso e sostenuto nel giusto dialogo con le differenti visoni della vita, con un’attenzione preferenziale ai più poveri. Faccio riferimento al principio della libertas ecclesiae, che vuol dire difesa di ciò in cui crediamo e sostegno in politica a chi rispetta le varie esperienze presenti nella società e garantisce la possibilità di svilupparle dal punto di vista educativo. A Cesena il Papa ha detto: “Questo è il volto autentico della politica e la sua ragion d’essere: un servizio inestimabile al bene dell’intera collettività. E questo è il motivo per cui la dottrina sociale della Chiesa la considera una nobile forma di carità”.