Il Tribunale della Corte Ue tramite il proprio generale, Melchior Wathelet, ha di fatto strigliato in una pesante reprimenda il Governo italiano per l’annoso “caso” delle tasse sugli immobili (Ici-Imu) della Chiesa. In particolare «gli aiuti di Stato concessi dall’Italia agli enti non commerciali ecclesiastici sotto forma di esenzione Ici vanno recuperati». Secondo l’avvocato della Corte europea non basta ritenere che il sistema catastale italiano sia inefficiente, «non giustifica un’eccezione alla regola per cui gli aiuti di Stato illegali vanno recuperati». Tra il 2006 e il 2011 il Governo italiano (sia Prodi che Berlusconi poi) ha permesso alle strutture assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive e culturali religiose di non pagare l’imposta sugli immobili (Ici), che la Commissione europea nel 2012 ha riconosciuta come contraria agli aiuti di Stato. Secondo l’avvocato però, «l’impossibilità di recupero dell’aiuto a causa di difficoltà organizzative imputabili allo Stato (nella specie: mancata predisposizione di adeguate banche-dati) non giustifica un’eccezione alla regola per cui gli aiuti di Stato illegali vanno recuperati». Ora non resta che capire se la Corte di Giustizia Ue passi effettivamente ai fatti e agli atti: a quel punto il Governo italiano potrebbe davvero dover passare a chiedere, una volta confermata la sentenza, alla Chiesa le imposte passate in quei 5 anni sopracitati.



MA LE COSE STANNO VERAMENTE COSÌ?

Ma le cose come stanno realmente? Nel senso, è subito partita la consueta caccia alle streghe, questa volte in Vaticano e nella Cei, per cui la «maledetta Chiesa deve pagare come facciamo tutti», come si legge in alcuni commenti social di queste ore: ma siamo sicuri che la realtà sia così “semplice” come viene mostrata ogni qual volta che si tocca un tema del genere? Ebbene, visto che la reprimenda della Corte Ue arriva per un periodo di tasse tra il 2006 e il 2011, occorre andare a vedere cosa la stessa Conferenza Episcopale Italiana andava dicendo su questo e su altre contestazioni simili proprio 7 lontani anni fa. All’epoca era ancora Angelo Bagnasco presidente Cei e in un convegno a Roma aveva spiega nel dettaglio come «Eventuali casi di elusione relativi a singoli enti, se provati devono essere accertati e sanzionati con rigore: nessuna copertura è dovuta a chi si sottrae al dovere di contribuire al benessere dei cittadini attraverso il pagamento delle imposte. Le tasse non sono un optional». Ma attenzione, diceva ancora Bagnasco, a far passare la “fake news” per cui la Chiesa non paga l’Ici: «La Santa Chiesa italiana paga regolarmente le imposte, occorre dirlo, visto che si parte sempre dall’assunto contrario».



Bagnasco spiegava come l’esenzione dall’Ici per talune categorie di enti e di attività non è un privilegio, «È il riconoscimento del valore sociale dell’attività che viene esentata e – cosa non secondaria – non riguarda solo la Chiesa ma anche altre confessioni religiose e una miriade di realtà non profit». La domanda decisiva e importante veniva fatta allora e va risposta anche oggi: un conto sono le strutture che “lucrano” alle spalle delle Diocesi per evitare di pagare le tasse – e quelle vanno stanate e punite, con richiesta di versare i giusti importi di imposte – ma un altro è valutare se il mondo della solidarietà debba essere tassato al pari di quello del business. «A chi fa concorrenza una mensa per i poveri piuttosto che un campetto di calcio dell’oratorio? In ogni caso, ripeto: siamo disposti a valutare la chiarezza delle formule normative vigenti, con riferimento a tutto il mondo dei soggetti e delle attività non profit oggetto dell’attuale esenzione», conclude il capo della Cei.

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