I genitori di Charlie, di Isaiah, di Alfie sono coraggiosi. Parlano, cercano altre voci, fanno rete. Quanti non hanno forse la stessa tempra, la stessa forza. Quanti Alfie Evans sono scomparsi nel silenzio e nella nostra incoscienza. Senza neppure che chi ha testa e cuore possa gridare all’ingiustizia, di più, a una concezione dell’umano che non avremmo immaginato diventasse senso comune, abitudine. Alfie verrà ucciso, hanno stabilito i giudici. Quando, come, non è dato saperlo. Per non violare la privacy. E per rispetto a questo idolo sacrale è stato rimbrottato anche il suo papà, che ha osato pubblicare foto e filmatini del bimbo. A riprova che non si tratta affatto di un vegetale, quand’anche un essere umano senza succhiare il ciuccio o stiracchiarsi potesse essere mai considerato alla stregua di un vegetale.
Il papà di Alfie è troppo giovane, ha solo 21 anni, sentenziano dotti medici e sapienti, e pazienza se magari gli stessi sono convinti che a 17 anni si può votare, fare figli, decidere come rovinarsi la vita. Lui che vuole salvare la vita di suo figlio è un illuso, un ragazzino incapace di affrontare la realtà. La vita del piccolo Alfie è inutile. Futile, ha detto elegantemente il giudice. Perché? Non c’è una diagnosi su questa creatura. Non è stata comunicata neppure a due istituti medici d’eccellenza riconosciuti a livello perlomeno europeo, come l’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù e il Besta di Milano. Che hanno dato piena disponibilità, con discrezione, ma con insistenza, ad accogliere il bambino e provare a ricercare una diagnosi, e quindi una pur difficilissima cura. Zero risposte dallo staff dell’Alder Hey, l’ospedale di Liverpool che lo imprigiona, e che detiene in libertà vigilata pure la sua mamma e il suo papà.
Peggio: a fronte dell’indomabile volontà, diritto, dei genitori di cercare un’altra via, fors’anche disperata, per loro figlio, la polizia si schiera a presidiare la camera nello stesso ospedale. Un’irruzione che neanche per fronteggiare dei criminali.
Funziona così, da quelle parti: qualcuno decide se vale la pena che tu viva, che lo Stato spenda soldi per te; e su questo teorema si basano le decisioni fintamente pietose di “staccare la spina”. E poiché la legge è legge, anche se poco common law, non si può mettere in discussione, in dubbio. Vinca la morte, la condanna a morte. Non si accettano interferenze, per principio. Se mettiamo in crisi un sistema che considera le persone tali perché efficienti, perché produttive, perché capaci, perché non a carico dello Stato, toccherebbero non solo incrementi di spesa, ma soprattutto scardinare presupposti ideologici diffusi e posti a cardine del sistema paese: ovvero, la vita non vale di per sé, ma se è degna. Chi lo stabilisce è il delegato del potere, in qualunque forma si presenti. Non la pensano così gli inglesi, semmai ci sono avvezzi da un po’, come gli olandesi, gli svedesi, e via andare. I campioni del diritto e della libertà, della democrazia, del welfare migliore. La pensiamo così anche noi, in fondo: quando guardiamo con fastidio gli articoli dei pochi giornali che “ancora” ripropongono il caso di Alfie, “fanatici”, “integralisti”. Quando guardiamo con fastidio, forzatamente indifferenti, un manifesto che mostra un bimbo nel ventre di sua madre, a 11 settimane di vita; quando pensiamo che la vita di certi vecchi, di certi ammalati dovrebbe finire in fretta, perché ci turba troppo vederla.
Morto un Alfie ce ne sarà un altro, e dopo un po’ i nomi di questi piccoli non li conosceremo neppure. Entreranno nel gorgo, muti, cantava un poeta, nella disperazione. Ma i loro nomi grazie a Dio sono scritti nel Cielo, e nulla della loro presenza andrà mai perduto. Grazie a Dio, tocca dirlo a voce alta, senza vergognarsi, senza temere di esagerare, di turbare, perché ci si incontra e si dialoga sulla verità. E solo la presenza di Dio salva ogni vita, solo la certezza di un padre Creatore permette di salvare anche quel po’ di umano che in noi faticosamente, ma incessantemente, si agita per venire alla luce.
Oggi i genitori di Alfie combattono anche per noi e i nostri figli, bisogna saperlo e dirlo, perché far finta di nulla non basta. Ci scandalizziamo se la polizia irrompe in un centro sociale, blinda un corteo. Garantisti, paladini dei diritti, delle libertà, dove siete? Cosa scrivono i vostri editorialisti, i vostri padrini politici?