Sicuramente, l’idea dello scontrino in lingua sarda non è una moda passeggera, ma il segnale di come nell’Isola l’orgoglio di parlare la propria lingua stia prendendo piede in maniera sempre più decisa. Non è un mistero che negli ultimi mesi ci sia stata un’impennata in Sardegna nelle iscrizioni per i corsi che garantiscono di imparare al meglio il dialetto sardo. Quello dei propri nonni che nonostante la forte custodia dei sardi nei confronti delle loro origini, spesso rischia di “sporcarsi” o addirittura di perdersi mano a mano che si tramandano le generazioni. Dunque, gli scontrini come quello visto ad Oliena potrebbero diventare presto la regola e non l’eccezione, soprattutto se anche i giovani continueranno ad approcciarsi con entusiasmo allo studio della lingua sarda. (agg. di Fabio Belli)
LA LINGUE DI OLIENA
Sta facendo il giro del web la foto di uno scontrino di un bar, il Genia di Oliena in provincia di Nuoro, postata da un cliente. Lo scontrino infatti è stampato in dialetto sardo, anzi no attenzione se no la titolare si infuria: in lingua olianese, quella di Oliena. E’ da anni infatti che la titolare, Eugenia Vacca, una donna di 34 anni, fa così: batte scontrini in dialetto e si rivolge ai clienti solo in dialetto. Come si legge in una agenzia dell’Ansa “l’aperitivo diventa “Rifrishu”, gli snack “Pittitos”, la birra di marca “Birra ‘e casta”. E a chiusura della ricevuta fiscale appare il saluto “a mengius viere in salude” che sostituisce il “grazie e arrivederci”. Peggio dei cartelli stradali in lingua tedesca in provincia di Bolzano.
IL DIALETTO E LE SPIEGAZIONI
Sempre all’Ansa la titolare spiega che “volevo sottolineare che la lingua deve essere parlata e scritta per non perderla, ma volevo anche divertirmi con i miei clienti di Oliena e del circondario che mi prendono in giro per la mia ostinazione a rivolgermi loro in olianese. Non mi passa per la testa di chiedere ad esempio se bevono la birra in bicchiere o al bacio: per me la birra si beve ‘in sa tassa’ o ‘a fruncu'”. La lingua sarda, aggiunge, va parlata e insegnata ai bambini. Fortunatamente si definisce “non estremista”: se un cliente non è sardo e non capisce il dialetto gli parla in italiano. Qualcosa del genere tentarono di fare anche alcuni leghisti in diverse scuole della Lombardia: fortunatamente tutto finì ben presto. Vabbè, adesso sapete che un “mes’abba” costa 0,20 centesimi di euro e che il “pittittos” è gratis. Cosa sono? Boh.