“Sono felice di avere la possibilità, insperata, di crescere mia figlia, dopo che all’improvviso alcune cellule del mio cuore sono impazzite, mentre ero in vacanza a Napoli per Pasqua.” Questa la dichiarazione che la trentunenne Katia ha rilasciato per commentare la sua terribile disavventura, conosciuta ora anche dai media, una volta fuori pericolo. Il calvario di Katia si è consumato in una situazione potenzialmente sotto controllo e tranquillissima, in cui si è manifestata, durante le vacanze pasquali passate a Napoli dalla famiglia, l’anomalia delle cellule cardiache che ha rischiato di ucciderla. 50 arresti cardiaci in meno di una settimana, dal 31 marzo al 5 aprile, e solo il lavoro di equipe dei medici da Sud, a Napoli presso l’Ospedale del Mare, a Nord presso il Policlinico San Donato di Milano, le hanno permesso di sottoporsi all’intervento che le ha salvato la vita. (agg. di Fabio Belli)
“INTERVENTO INEDITO”
Sta facendo molto discutere il caso di una mamma di 31 anni che si è trovata a vivere nell’arco di pochi giorni due situazioni assolutamente eccezionali: la donna, originaria di Napoli, soffriva infatti di una aritmia che l’ha portata ad avere be 50 arresti cardiaci in soli sei giorni, col rischio concreto di morire. Per sua fortuna, grazie all’intervento dei medici dell’Ospedale del Mare di Napoli che hanno segnalato il suo caso al loro collega Antonio Pappone, in servizio presso il Policlinico San Donato di Milano, la giovane Katia ha trovato una salvezza. E qui entra in gioco il secondo evento eccezionale: vista la grave situazione, lo specialista ha deciso di tentare un intervento molto complicato e mai eseguito prima. “La sua era una fibrillazione ventricolare provocata da delle cellule impazzite” ha raccontato il chirurgo che ha spiegato poi quale è stata l’eccezionalità della stessa operazione: “La difficoltà sta nel fatto che ci sono solamente pochi secondi per agire tra una fibrillazione e l’altra” ha continuato, precisando che è vero che questo intervento in sé non è propriamente inedito ma negli altri casi accertati la fibrillazione era fissa ed era già avvenuta in precedenza, non come raccontava invece il quadro clinico della donna napoletana per la quale non era affatto facile una “precisa localizzazione del problema”. (agg. R. G. Flore)
50 ARRESTI CARDIACI IN SEI GIORNI
Aritmia gravissima, attacchi cardiaci anche ogni 15 minuti. In sei giorni ben 50 arresti. Il tutto a causa di “una fibrillazione ventricolare provocata da cellule impazzite nel sistema elettrico del cuore” si legge oggi sul Corriere della sera. E’ l’incredibile caso di una donna di 31 anni napoletana, giudicata dai medici dell’Ospedale del Mare del capoluogo campano impossibile da salvare vista la situazione. Qualcuno di loro però, in un ultimo disperato tentativo, ha contattato un collega che lavora al Policlinico San Donato in Lombardia. Si accende una speranza e grazie all’intervento di un aereo dell’esercito, Katia, la malata, viene portata a San Donato insieme a una equipe di medici rianimatori che continuano a lavorare su di lei per tenerla in vita. Qua il dottor Calo Pappone, il medico contattato da Napoli, ha una intuizione coraggiosa, tentare qualcosa mai fatto prima: “un’ablazione particolare e complicata, con l’introduzione di un catetere all’interno del cuore in modo da far passare corrente elettrica per distruggere le cellule responsabili dell’aritmia”.
LA MAMMA È SALVA
Nel 2016 si era scoperto cosa causa queste crisi terribili: un piccolo frammento di Rna, chiamato microRNA-31, presente in quantità abnormi nelle cellule cardiache “impazzite”. La fibrillazione atriale è caratterizzata da un ritmo cardiaco irregolare e accelerato, che si origina nelle due camere cardiache superiori (gli atri) impedendo il loro corretto funzionamento. In realtà il tipo di intervento era già stato eseguito prima, ma mai “il bersaglio era fisso e la fibrillazione era avvenuta in precedenza” come in questo caso. Tutto è andato per il meglio. Si temeva che il grande numero di arresti cardiaci potesse aver procurato danni al cervello, ma non ci sono state conseguenze. In sostanza, due equipe di medici consultandosi a distanza di mille chilometri hanno salvato una vita, un esempio di come si dovrebbe lavorare nella sanità, in dialogo e aiuto reciproco tra ospedali diversi. La donna, una figlia di tre mesi, ha dichiarato di vivere una nuova vita e soprattutto grata di poter crescere la sua bambina.