Il carabiniere scelto Pietro Scarone, della stazione Casalina, tradusse insieme ad un collega Stefano Cucchi da Tor Sapienza nel Tribunale e già nel 2009 disse ai magistrati della Procura di Roma che il geometra di trent’anni “era chiaro che era stato menato. Cucchi stava male, aveva ematomi agli occhi”. Oggi in udienza il carabiniere scelto ha confermato la versione di otto anni fa, con alcuni stralci di quel verbale che finirono su un quotidiano. Schirone ha poi spiegato di essere stato convocato il giorno dopo da Alessandro Casarsa, colonnello all’epoca comandante provinciale: “Mi chiese solo se le dichiarazioni riportate dalla stampa corrispondessero al mio pensiero. Gli risposi di sì e la questione si chiuse in questo modo. Non sono mai stato sottoposto a un procedimento disciplinare né ho saputo mai che sulla vicenda sia stata avviata dall’Arma un’inchiesta interna”, riporta Rai News. (Agg. Massimo Balsamo)



LAINA’: “SEMBRAVA AUSCHWITZ”

Si riapre il caso riguardante Stefano Cucchi, morto in circostanze molto sospette dopo essere arrestato per possesso di droga. Cinque carabinieri sono a processo con l’accusa di omicidio preterintenzionale, e di falso nella compilazione del verbale, e a breve verranno giudicati. La cosa certa è che con il passare degli anni (Cucchi è morto nel 2009), la verità sta a poco a poco venendo a galla, e molti di coloro che hanno rimandato al mittente le accuse, stanno invece risultando profondamente invischiati nella vicenda. Una fine orribile quella di Stefano, che quando venne visto dai suoi genitori, già all’obitorio e dopo aver tenuto nascosto il corpo per 40 giorni, pesava meno di 40 kg. A riguardo, sono da brividi le parole di Luigi Lainà, un testimone che nell’udienza del 20 marzo, disse: «Quando ho visto Stefano la prima volta – si legge su Il Fatto Quotidianostava ‘acciaccato’, era gonfio come una zampogna, aveva ematomi sul viso e sugli zigomi, era viola, perdeva sangue da un orecchio, non parlava bene e non riusciva neanche a deglutire. Quando gli ho visto la schiena sembrava uno scheletro, un cane bastonato, roba che neanche ad Auschwitz». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)

LE ACCUSE NEI CONFRONTI DEI CARABINIERI

Stefano Cucchi, “modificate note su stato di salute”: nuovi aggiornamenti sulla tragica morte del geometra romano dello scorso 22 ottobre 2009 durante la custodia cautelare. Come sottolinea Repubblica, a processo cinque carabinieri: oggi sono stati ascoltati due militari come testimoni nel processo e, secondo quanto emerso, i vertici dell’arma erano già a conoscenza del pestaggio subito da Cucchi, ben prima che il caso finisse all’attenzione della magistratura e della stampa. E gli stessi vertici fecero in modo affinchè la vicenda venisse presentata con una versione soft nelle varie informative destinate alle autorità giudiziarie. Il pubblico ministero Giovanni Musarò ha sentito le deposizioni di due testimoni nel corso del processo bis in corte d’assise. I cinque carabinieri a processo sono accusati di aver pestato Stefano Cucchi, di aver falsificato il verbale e di aver dato la colpo dell’aggressione a tre agenti della polizia penitenziaria, già processati ed assolti in via definitiva.

“MODIFICATE NOTE SU STATO DI SALUTE”

Gianluca Colicchio, piantone di Tor Sapienza, annotò il 26 ottobre del 2009 alle 18.40 sull’arrivo di Cucchi: “Trascorsi circa 20 minuti Cucchi suonava al campanello di servizio presente nella cella e dichiarava di aver forti dolori al capo, giramenti di testa, tremore e di soffrire di epilessia”. Questa annotazione, sottolinea Repubblica, riporta sul foglio lo stesso numero di computer di una seconda versione più sfumata, in cui vi era scritto che “Cucchi dichiarava di soffrire di epilessia, manifestando uno stato di malessere generale verosimilmente attribuito al suo stato di tossicodipendenza e lamentandosi del freddo e della scomodità della branda in acciaio”. Colicchio, in aula, ha riconosciuto la propria firma in calce sui due verbali, ammettendo però che la seconda versione non corrisponde al vero. Il carabiniere scelto Francesco Di Sano, invece, ha ammesso nel corso dell’udienza di essere stato invitato a ritoccare il proprio verbale perché troppo dettagliato.