Era il 18 aprile del 2015, esattamente come oggi tre anni fa, quando si verificava il più grave incidente marittimo nel Mediterraneo del dopoguerra. Un barcone carico di migranti, quasi 1000, colò a picco nel Canale di Sicilia, a causa delle condizioni pessime della stessa imbarcazione e dell’eccesivo numero di persone a bordo, causando quella che è a tutt’oggi una delle più grandi tragedie civili di tutti i tempi. I migranti erano partiti di notte, precisamente da Zwara, in Libia, a ovest di Tripoli. Peccato però che il mercantile portoghese che la Capitaneria di porto di Roma aveva inviato per soccorrerli, andò a sbattere proprio contro gli stessi. Sulla barca scoppiò il panico, con le persone ammassate nella stiva che cercarono di uscire, arrampicandosi gli uni sugli altri. C’erano persone ovunque, persino nella sala macchine, dove le temperature sono infernali.



“TROVAMMO UNO STRATO DI MATERALE BIOLOGICO DI 90 CM”

«Lì dentro si sviluppa un calore tale – il ricordo dei Vigili del fuoco a Il Fatto Quotidianoche neanche il macchinista ci mette spesso piede», e invece, fra i motori, vi erano ben 65 persone. I mercanti di persone avevano deciso di stipare più persone possibili in quei 23 metri di barca, con due litri di acqua e testa, e senza l’ancora, che avrebbe portato via solo più spazio. Alla fine ve ne erano 5 per metro quadro, per quasi 1000 persone mandate verso una morte certa. Furono complesse le operazioni di recupero, con la barca che rimase sul fondo del mar Mediterraneo fino al 30 giugno del 2016. A luglio, poi, i Vigili del fuoco erano riusciti ad aprire uno squarcio nella stiva per recuperare i cadaveri e quello che trovarono all’interno fu raccapricciante: «Lì dentro abbiamo trovato uno strato di materiale biologico alto 80-90 cm steso lungo tutti i 23 metri della nave – racconta Roberto Di Bartolo, ingegnere capo della squadra dei Vigili del fuoco – erano persone, quei poveri cristiani erano ammassati uno sull’altro».

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