Nel giorno di Pasqua Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera ha riacceso i riflettori sulla questione più importante che il cattolicesimo di questo secondo decennio del XXI secolo debba affrontare, ovvero la presa di coscienza della stretta correlazione fra dimensione personale e dimensione sociale della fede. Partendo da Arnaud Beltrame, il poliziotto francese che ha offerto ai terroristi la propria vita in cambio di quella di una donna che mai aveva conosciuto, l’editorialista sottolinea come “nella settimana santa il Paese più laico d’Europa si trova a discutere di come la religione possa incidere sulla vita privata e pubblica” di un intero paese.
È Beltrame forse l’esempio più lampante di un percorso che la Chiesa ha intrapreso da diversi anni e che oggi comincia a mostrarsi in tutta la sua forza. Dopo anni dominati dalla dialettica tra scelta religiosa e presenza pubblica dei credenti, e dopo il plateale trionfo della presenza pubblica con l’apparente vittoria al referendum, poi disatteso, sulla fecondazione assistita del 2005, si è come avvertito tutto lo stacco tra una grande capacità di mobilitazione della società da parte della Chiesa e un’incapacità ultima — nella vita di tutti i giorni — di mobilitare il cuore del singolo credente di fronte a Cristo. Nelle menti più lucide del nostro tempo, come quella di papa Benedetto, si è manifestata esplicitamente l’urgenza del cristianesimo oggi, ossia quella relativa alla fede. Si può essere socialmente cattolici senza essere più personalmente cristiani? Si può continuare a cercare in una mitica purezza dello Stato, laico o cristiano che sia, la soluzione di tutto il dramma e il lavoro cui è chiamata la nostra libertà? Il cambiamento vero del nostro mondo proviene dalla legge, da un potere esterno all’io, oppure ha bisogno di passare per la conversione del singolo?
Tra una visione intimistica, che rinchiude il cristianesimo in sacrestia e lo rende succube dello spirito del tempo, ed una visione teocratica, che riduce lo spazio del cristianesimo allo spazio del potere che esso riesce a conquistarsi, ecco emergere dunque una strada antica e nuova, una visione vocazionale dell’esperienza cristiana in cui si prende consapevolezza che le forze che rendono l’uomo felice sono le stesse che muovono la storia e che non è possibile alcun cambiamento della storia senza un reale cambiamento del cuore, senza che il cuore diventi di nuovo familiare con Cristo.
Arnaud Beltrame è il frutto maturo di questa strada. A dimostrazione che l’unica guerra davvero interessante per il futuro del nostro mondo e della fede è quella che si svolge nell’Io di ciascuno di noi. È quello il campo di battaglia su cui oggi, come a Lepanto quattrocento anni fa, si decide il futuro e il destino di tutto l’Occidente.