Ieri grossa vittoria dello Stato contro la mafia. Sono stati catturati, infatti, ventuno malavitosi uniti (da parentela e da affari mafiosi) al pericoloso latitante Matteo Messina Denaro. Sono fiancheggiatori o persone affiliate alle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna. Sono indagati per associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni. Nella lettura delle cronache colpisce un connubio inquietante: quello del rapporto tra Chiesa e mafia, una relazione che ripropone l’urgenza di rendere operativo il provvedimento di scomunica verso le persone mafiose, quello richiesto da Papa Francesco nel 2014 a Cassano allo Jonio.
Uno dei mafiosi fermati dalla Dda di Palermo, a marzo scorso, non sapendo di essere intercettato, paragonava Messina Denaro e il padre Francesco a Padre Pio e ai santi. “Vedi, una statua gli devono fare… una statua… una statua allo zio Ciccio che vale. Padre Pio ci devono mettere allo zio Ciccio e a quello accanto… Quelli sono i Santi”. Non è un’eccezione, visto che in altre intercettazioni si sottolineava come, al suo ritorno, il padrino di Castelvetrano avrebbe incontrato “cristiani”: il modo normale, purtroppo, usato dai mafiosi per indicare gli affiliati alla loro associazione criminale.
Le ragioni storiche di tale perversione sono note. La mafia non è forte quando spara, ma quando non ha bisogno di farlo, quando ha il consenso, quando normalizza l’illegalità. Quindi, in un contesto come quello siciliano, cosa c’è di meglio della Chiesa per rappresentare un elemento di normalizzazione e di consenso presso la gente? Tutti ricordiamo che nel film “Il Padrino”, Al Pacino diventava Padrino d’onore nel momento in cui diventava padrino di battesimo. Questa è la bestemmia: mentre un bambino muore e rinasce in Cristo con il battesimo, con lo stesso battesimo nasce un Padrino. Che fine ha fatto il grido di Papa Francesco a Cassano quando a giugno 2014 gridava, alle 250mila persone raccolte sulla Piana di Sibari, “i mafiosi sono scomunicati”? È triste dirlo ma a tutt’oggi non è cambiato nulla per il diritto canonico. Le parole del Papa sono rimaste qualcosa da citare in occasioni come queste ma non da mettere in pratica. Eppure sarebbe un segnale importantissimo, perché sarebbe un fatto che servirebbe alla gente.
Il riferimento a Padre Pio e ai santi serve anche a comprendere quanto fosse necessaria un’esortazione apostolica come Gaudete et Exsultate che allontana la santità dai canoni del martirio, dell’avventura, da una eroicità che, talvolta, può essere associata anche ai malviventi: i nostri film e fiction sono pieni di delinquenti che compiono gesta eroiche e mirabolanti. Non nascondo a me stesso che ciò che può “attrarre” della religione, fino a farne un’aberrazione, è lo spirito di affiliazione, il senso comunitario e di appartenenza: per questo è importante che il Papa ricordi a tutti i carismi della Chiesa l’importanza di guardarsi dalla chiusura e dall’autoreferenzialità. Perché è questo che fa la differenza vera tra la fecondità dell’amore cristiano e la versione aberrante di una famiglia chiusa, piena di “linguaggi in codice”.
Quanto bene fa, quanto cura questa perversione, la custodia di una santità nascosta, quotidiana, testimone di una vita normale come quella dei primi trent’anni di Gesù. Una cristianità d’un cristianesimo che faccia suo un unico comandamento: l’amore. Inteso come dono gratuito di sé perché gli altri abbiano vita.