La sentenza sulla trattativa Stato-mafia per alcuni lascia domande senza risposte, ma sicuramente sembra incidere sulla vita politica italiana. Il Movimento 5 Stelle esulta e anche Alessandro Di Battista, aprendo il comizio finale della campagna elettorale per le Regionali in Molise, ha parlato di una bella sentenza che “secondo me ravvicina anche tanti cittadini allo Stato”. L’esponente pentastellato ha anche detto che non era interessato a commentare le parole di Silvio Berlusconi, non proprio eleganti e lusinghiere verso M5s. “Se qualcuno è venuto qui per sentirmi commentare Berlusconi, gli dico: non mi interessa. Noi voliamo alti, lui è un po’ nervosetto”, sono le sue parole riportate dal Fatto Quotidiano. Di Battista ha voluto complimentarsi con la Procura di Palermo “per questa sentenza storica che dimostra ahimè che vi è stata una trattativa tra lo Stato e la mafia, provata dalla sentenza di primo grado”. (aggiornamento di Bruno Zampetti)
TRATTATIVA STATO-MAFIA, IL COMMENTO DI SGARBI
Non mancano le reazioni di dissenso rispetto alla sentenza di trattativa Stato-Mafia. Tra questi anche Vittorio Sgarbi, il critico d’arte e parlamentare che ha espresso profondo sdegno per la decisione dei giudici della Corte di Assise di Palermo. Sgarbi, come riportato da Il Fatto Quotidiano, ha spiegato:”La condanna di Mori, Subranni, De Donno e Dell’Utri senza prove è un insulto allo stato di diritto. Il collegio giudicante ha accolto come prove i teoremi dell’accusa. Il processo ha celebrato il tentativo di ricostruire una storia che non c’è stata, in perfetta contraddizione con gli atti degli imputati. Sono certo che la corte d’appello rovescerà questa assurda sentenza che umilia chi ha combattuto la mafia e catturato Riina. I fatti non sono opinioni”. Una presa di posizione forte, in attesa idi quanto verrà stabilito nel secondo grado di giudizio. (agg. di Dario D’Angelo)
BERLUSCONI, “ASSURDO E RIDICOLO ACCOSTARE IL MIO NOME”
E’ arrivata ieri la storica sentenza sulla trattativa fra lo stato e la mafia, in cui sono stati condannati Dell’Utri, Mori e Ciancimino. Come sottolinea l’edizione online de IlGiornale, l’occasione è stata sfruttata da alcuni per associare la malavita mafiosa al leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi. Il Cavaliere è voluto intervenire, e parlando da Campobasso ha ammesso: «Assurdo e ridicolo accostare il mio nome alla vicenda della trattativa stato-mafia». Quindi l’ex Premier fa chiarezza sulla questione: «I miei governi hanno sempre operato contro la mafia e hanno incrementato la pena del 41 bis. I miei legali dicono che la sentenza è del tutto disconnessa dalla realtà, ma se fosse vera il signor Berlusconi sarebbe persona offesa ed è considerato estraneo ai fatti di causa. Il dottor Di Matteo (il pm ndr) si è permesso di commentare una sentenza adombrando una mia personale responsabilità. È un fatto di una gravità senza precedenti, ho parlato con i miei avvocati, faremo dei passi nelle sedi opportune nei suoi confronti». Berlusconi promette quindi battaglia contro quanto accaduto nella giornata di ieri: la vicenda non finirà presto. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
IL COMMENTO DI SALVATORE BORSELLINO
In queste ore molti stanno dedicando la sentenza di primo grado nel processo sulla trattativa Stato-mafia a Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, così come a tutte le vittime innocenti della mafia. Si tratta infatti di una sentenza storica, perché conferma l’esistenza di un patto scellerato con Cosa nostra. Dopo cinque anni di udienze, boss e politici sono stati dichiarati colpevoli del reato per minaccia e violenza al corpo politico dello Stato. Felicissimo anche Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso nel 1992. «Questo è il traguardo della mia vita. Ma manca ancora la politica. È stato affermato tutto quello per cui io combatto da anni. L’unico neo è l’assoluzione di Mancino ma di fronte a tutto il resto non riesco a descrivere il mio stato d’animo», ha dichiarato in un’intervista ad Affaritaliani.it. Borsellino ha poi spiegato che questa sentenza «restituisce un pezzo di verità sulla trattativa e su mio fratello». Quasi non ci credeva, ora spera solo «di morire prima dell’appello. Così almeno se in secondo grado dovessero cambiare le cose me ne andrò via con questa sentenza». (agg. di Silvana Palazzo)
FICO “GIORNATA DAL VALORE CIVILE E MORALE”
La giornata di oggi si accinge ad avere una grande importanza dal punto di vista storico e politico. Il processo sulla trattativa Stato-mafia si è infatti concluso con la sentenza di condanna a carico di Marcello Dell’Utri – tra gli altri – a 12 anni e 28 a Bagarella. “Siamo nella consapevolezza di essere nel giusto. Ovviamente dal dispositivo abbiamo la certezza che la trattativa ci fu. La corte ha avuto la consapevolezza e la certezza che mentre in Italia esplodevano le bombe nel 1992 e nel 1993 qualche esponente dello Stato trattava con cosa nostra e trasmetteva la minaccia di cosa nostra ai governi in carica”, ha commentato a caldo il pubblico ministero Nini Di Matteo, come riporta Repubblica.it. Un commento atteso arriva anche dal presidente della Camera, Roberto Fico che, dopo cinque anni è conscio di come il tribunale di Palermo abbia posato la prima pietra “su una delle pagine più dolorose della storia di questo Paese”. “La giornata di oggi” – ha ricordato Fico – “ha un valore civile e morale straordinario. Perché quando lo Stato riapre le proprie ferite per provare a stabilire la verità, quando giunge a condannare se stesso, allora riacquista la forza, la dignità e la fiducia dei cittadini”. A sua detta, il fatto stesso che si sia tentato in ogni modo di fare luce sulle pagine più buie della nostra storia ha permesso non solo di sentirci Stato ma anche di andare avanti in quanto comunità. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
M5S: “PIETRA TOMBALE SU BERLUSCONI”
L’attesa e storica sentenza sull’esistenza della trattativa Stato-Mafia (che ha sì portato all’assoluzione dell’ex Ministro dell’Interno, nonché già Presidente del Senato, Nicola Mancino, ma anche alla condanna del mafioso Leoluca Bagarella, di Marcello Dell’Utri e dell’ex generale dei Carabinieri, Mario Mori) si intreccia oggi inevitabilmente con le vicende politiche di più stretta attualità, tanto che la fase di stallo per la formazione di un governo potrebbe anche risentire della decisione della Corte d’Assise di Palermo. Infatti, non si sono fatte attendere le prime reazioni da parte di esponenti di spicco del Movimento 5 Stelle: nell’ordine, Luigi Di Maio su Twitter, Alessandro Di Battista e poi il deputato e questore pentastellato Riccardo Fraccaro hanno colto la palla al balzo, attaccando Silvio Berlusconi e tutto il suo partito. “La trattativa Stato-Mafia” c’è stata ha twittato il capo politico del Movimento, dichiarando a suo dire “finita oramai la Seconda Repubblica”, mentre Fraccaro ha tirato in ballo direttamente l’ex Cavaliere, affermando che la sentenza è “una pietra tombale per Berlusconi”, annuendo anche al fatto che la credibilità politica del fondatore di Forza Italia non sussisterebbe più e aprendo di fatto al dialogo del M5S solamente con la Lega di Salvini per la formazione del Governo. (agg. R. G. Flore)
La trattativa Stato-mafia c’è stata. Con le condanne di oggi muore definitivamente la Seconda Repubblica. Grazie ai magistrati di Palermo che hanno lavorato per la verità.
— Luigi Di Maio (@luigidimaio) April 20, 2018
LA DIFESA DI MORI, “SENTENZA ASSURDA”
La difesa dell’ex generale Mario Mori si dice del tutto esterrefatta della decisione giunta dai giudici della Corte d’Assise di Palermo: dopo la condanna a ben 12 anni di carcere per aver “collaborato con la Mafia”, gli avvocati di Mori e Subranni spiegano ai cronisti «E’ una sentenza che lascia sbigottiti, una sentenza dura che non sta né in cielo né in terra», spiega Basilio Milio dopo la lettura dall’aula bunker. «Lo dico non come cittadino o avvocato, ma perché ci sono quattro sentenze che hanno escluso trattative di sorta e che hanno assolto gli imputati. Aspettiamo di leggere le motivazioni. C’è comunque un barlume di contentezza, perché so che la verità è dalla nostra parte. Possiamo sperare che dopo cinque anni, in appello vi sarà finalmente un giudizio. Questo è stato un pregiudizio. Non sono stati ammessi 200 documenti alla difesa e venti testimoni». Per Nicola Mancino invece, l’unico assolto dal lungo processo sulla Trattativa Stato-Mafia, la sentenza è stata una liberazione dopo anni di profonda sofferenza: «Sono sollevato, è finita la mia soffrenza anche se sono sempre stato convinto che a Palermo ci fosse un giudice. La sentenza è la conferma che sono stato vittima di un teorema che doveva mortificare lo Stato e un suo uomo che tale è stato ed è tuttora». Gli avvocati lamentano però che per stabilire una falsa testimonianza (da cui è stato assolto perché il fatto non sussiste) ci sono voluti 8 anni, «non proprio un fatto positivo e ben augurante per la giustizia italiana».
LE SENTENZE (E LE SORPRESE)
Pochi secondi fa è stata eletta la lunga sentenza sulla Trattativa Stato-Mafia e si può dire che il pm Nino Di Matteo “vince” la prima sfida processuale dalla Corte di Assise di Palermo: 28 anni a LeoLuca Bagarella per reato mafioso, 12 anni a Marcello Dell’Utri, l’ex generale Mario Mori, Antonio Subranni, l’ex colonnello Giuseppe De Donno per reati ascritti e accusati fino al 1993 (mentre sono stati tutti assolti per i reati successivi a quell’anno, ndr). Assolto invece “perché il fatto non sussiste” l’ex ministro Nicola Mancino: dopo 5 anni di processo il verdetto sposa la linea dell’accusa che vedeva come alcuni uomini dello Stato abbiano tentato di trattare con Cosa Nostra per vedere finita la stagione delle stragi, bloccando di fatto il “ricatto” delle bombe con favori e “ammorbidimento” ai clan mafiosi siciliani. Le motivazioni della sentenza arriveranno fra novanta giorni: inutile dire che la sentenza creerà pesanti polemiche politiche delle diverse fazioni in atto viste negli ultimi cinque anni processuali.
CI FU TRATTATIVA TRA STATO E MAFIA?
Il verdetto verrà pronunciato nell’aula bunker del carcere Pagliarelli e si tratta del primo atto ufficiale dopo 5 anni di processo sulla presunta Trattativa tra Stato e Mafia: è atteso per le ore 16 il giudizio della Corte d’Assise di Palermo su uno dei processi più controversi e “criticati” della storia recente italiana. Si cerca infatti di dimostrare nelle tesi dell’accusa (su tutti il Pm Nino Di Matteo) che dopo la stagione delle stragi (Chinnici, Falcone e Borsellino, solo per citare i più drammaticamente “famosi”) compiute da Cosa Nostra, ‘pezzi’ dello Stato avrebbero cercato di trovare un accordo con i capi Corleonesi, Totò Riina e Bernardo Provenzano (non presenti ovviamente al processo nelle sue fasi finali per la doppia prematura scomparsa in carcere, ndr) per far terminare quella stagione di sangue e morte. «La storia ha riguardato i rapporti indebiti che ci sono stati tra alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra e alcuni esponenti istituzionali dello Stato italiano», si legge nella requisitoria di Di Matteo. «Esponenti delle istituzioni hanno ceduto, per paura o incompetenza, illudendosi che la concessione di una attenuazione del regime carcerario del 41 bis potesse far cessare le bombe e il piano criminale di devastazione di vite e obiettivi. Cosa che non avvenne». Ci sarebbero stati ricatti, favori e “alleggerimenti” nei confronti della Mafia: tutto questo però con un carico di “prove” che in sede processuale si sono rivelate tutt’altro che granitiche e che la Difesa dei vari imputati ha più volte combattuto e contrastato negli ultimi 5 anni. Oggi la resa dei conti, almeno per quanto riguarda il primo grado ovviamente..
GLI IMPUTATI E LE POLEMICHE
200 udienze, 5 anni di processo, centinaia e centinare di testi e ovviamente un discreto numero di imputati (esclusi quelli morti negli ultimi anni, ndr): i numeri del processo sulla presunta “Trattativa” hanno un’importanza notevole che non resta incardinata negli argini della sola giustizia ma che ha echi ovviamente sulla politica nazionale degli ultimi 20-30 anni. Come ben riporta Askanews nel sunto di questa mattina, «Sul banco degli imputati, dopo la morte di Totò Riina lo scorso 17 novembre, erano rimasti i boss mafiosi Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Antonino Cinà; quindi gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno; Massimo Ciancimino, l’ex senatore di FI Marcello Dell’Utri e l’ex ministro Nicola Mancino che deve rispondere di falsa testimonianza. Per Ciancimino, invece, l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro». Tutti gli altri imputati della Corte d’Assise di Palermo sono accusati di violenza a Corpo Politico, giudiziario o amministrativo dello stato; una circostanza che, se dimostrata, gli imputati avrebbero commesso intimando i vari governi per poter ottenere l’ammorbidimento della “lotta a Cosa Nostra” in cambio della fine di stragi e condanne a morte lanciate dalla mafia siciliana contro alcuni politici e giudici. Si tratta però di una costruzione processuale molto fragile e dalle molteplici conseguenze sia a favore che contro l’accusa: Di Matteo si dice certo della buona riuscita, ma un Paese spaccato in due sul processo non potrà che “dividersi in due” anche per la sentenza.