Non manca la prima risposta della difesa dopo la lunga “requisitoria” televisiva che il pm Nino Di Matteo ha tenuto su Rai3 questo pomeriggio: si tratta del legale di Marcello Dell’Utri, storico collaboratore di Silvio Berlusconi e condannato dalla Corte d’Assise di Palermo per il tramite tra Mafia e potere statale. «Spiace che Di Matteo rappresenti all’opinione pubblica una realtà riduttiva rispetto a quella effettiva»; l’avvocato Giuseppe Di Peri in una nota attacca la tesi del pm siciliano, «Con la sentenza che ha condannato Dell’Utri per il periodo precedente al 1992 ne è stata pronunciata anche una di assoluzione piena per i fatti successivi a quell’anno, escludendo in maniera assoluta rapporti tra Dell’Utri, la mafia, Berlusconi e FI». Durissimo anche Maurizio Gasparri, Forza Italia, tanto contro Di Matteo quando contro la giornalista di Rai 3: «Lucia Annunziata ancora una volta fa un uso fazioso degli spazi televisivi che la Rai le concede. Il magistrato Di Matteo, ospite nella sua trasmissione su Rai3, ha detto che i carabinieri avevano, tramite Ciancimino, cercato di contattare Riina. Sono gli stessi carabinieri che hanno arrestato Totò Riina. Questo era il loro obiettivo ma l’Annunziata, come del resto Di Matteo, hanno evitato di precisarlo». Nel processo Dell’Utri viene condannato come “intermediario” con le cosche di Cosa Nostra e il capogruppo di Leu tende a dar credito alla tesi di Di Matteo: «In un Paese normale una sentenza come quella emessa a Palermo sulla trattativa stato-mafia avrebbe aperto una riflessione di carattere straordinario sulla stagione delle stragi dei primi anni Novanta. Bene ha fatto quindi Lucia Annunziata ad invitare il giudice Nino Di Matteo nella trasmissione Rai da lei condotta e gli attacchi censori di Gasparri ne sono la plastica conferma». 

IL PM DELLA SENTENZA STATO-MAFIA

È indubbiamente la “star” della settimana: politica, tribunale di Palermo, giornali e polemiche. Per Nino Di Matteo, il pm che esce vincitore dal “primo round” del processo sulla Trattativa Stato-Mafia, oggi il ritorno in tv è stato ricco di provocazioni, spunti e attacchi contro l’intero impianto che avrebbe “mandato” a trattare con Cosa Nostra i carabinieri condannati. In fondo, l’unico vero obiettivo resta sempre lui: Silvio Berlusconi, bersaglio individuato del rapporto tra cosche e politica. Ma riavvolgiamo il nastro un secondo: qui trovate tutti i dettagli della sentenza storica della Corte d’Assise di Palermo, che il pm Di Matteo illustra così poche ore fa a “In mezz’ora in più” con Lucia Annunziata: «Ho la consapevolezza di aver fatto il mio dovere. La sentenza emessa da una corte qualificata che in cinque anni ha dato spazio a tutte le prove dell’accusa e della difesa, non ci ha colto di sorpresa. Il verdetto ha messo un punto fermo importante sancendo che mentre la mafia, tra il ’92 e il ’93, faceva sette stragi c’era chi all’interno dello Stato trattava con vertici di Cosa nostra e trasmetteva ai governi le sue richieste per far cessare la strategia stragista». Resta il disappunto per il magistrato di non aver ricevuto la difesa da parte delle istituzioni giudiziarie, in particolare «Quello che mi ha fatto più male è che rispetto alle accuse di usare strumentalmente il lavoro abbiamo avvertito un silenzio assordante e chi speravamo ci dovesse difendere è stato zitto. A partire dall’Anm e il Csm».

DI MATTEO ATTACCA BERLUSCONI

Secondo il pubblico ministero del processo mediatico più seguito degli ultimi anni (forse secondo solo a quello di Mafia Capitale), gli ufficiali dei carabinieri condannati in primo grado «hanno svolto un ruolo di cinghia di trasmissione delle richieste della mafia nel ’92, quindi rispetto ai governi della Repubblica presieduti da Amato e Ciampi, mentre Dell’Utri è stato condannato per avere svolto il medesimo ruolo nel periodo successivo a quando Berlusconi è diventato premier. Questi sono stati i fatti per cui gli imputati sono stati condannati. È un fatto oggettivo». Secondo Nino Di Matteo però la posizione di Dell’Utri (e quindi di Berlusconi) dimostra come quel “sistema” politico fosse connivente e “mandante” delle trattative poi tenute da Mori e co., anche se non spiega perché allora la condanna sia arrivata per i fatti posteriori al 1993, quando al governo ancora Berlusconi non c’era arrivato. «C’era una sentenza definitiva che condannava Dell’Utri per il suo ruolo di tramite tra la mafia e Berlusconi fino al ’92. Ora questo verdetto sposta in avanti il ruolo di tramite esercitato da Dell’Utri tra Cosa nostra e Berlusconi. Né Silvio Berlusconi né altri hanno denunciato le minacce mafiose, né prima né dopo», attacca ancora Di Matteo.

La Annunziata poi chiede acutamente come mai sono stati condannati solo i presunti “esecutori” e non i probabili mandanti, con il pm che replica: «È ovvio che noi abbiamo agito verso soggetti che ritenevamo coinvolti sulla base di un quadro probatorio solido, ma non pensiamo che i carabinieri abbiano agito da soli. Non abbiamo avuto prove concrete per agire contro livelli più alti, ma pensiamo che i carabinieri siano stati mandati e incoraggiati da altri». Questo però, un processo durato cinque anni, ancora non è stato provato.. In conclusione, Di Matteo proprio per “scovare” tali mandanti ha ipotizzato l’intervento di una figura ancora non trovata: «Noi non riteniamo che il livello politico non fosse a conoscenza di quel che accadeva. Ci vorrebbe ‘un pentito di Stato’, uno delle istituzioni che faccia chiarezza e disegni in modo ancora piu’ completo cosa avvenne negli anni delle stragi».