L’ideologia è morta. Ma il suo cadavere insepolto appesta ancora l’aria con i suoi miasmi venefici. Questa la vecchia immagine che mi è venuta in mente nel leggere le notizie sul blocco dei migranti inscenato al Colle della Scala da un gruppo di identitari francesi, e sulla replica di un drappello di No Tav nostrani. 



Quattro ragazzotti francesi — questa la notizia — hanno teso lungo il confine nientepopodimeno che una rete di plastica rossa, e adagiato sulla neve un telo con slogan poco cordiali (“Strada chiusa”, “Non farete dell’Europa la vostra casa”, “Tornate a casa vostra”). Tanto è bastato perché i No Tav dessero fuoco alle polveri della più trita retorica: “Un gruppo di neonazisti francesi e italiani presidia il Colle della Scala. Tutto questo è inaccettabile ed è urgente dare una risposta. Non possiamo lasciare dei fascisti nella libertà di circolare a pochi giorni dal 25 aprile. I partigiani che su queste montagne hanno dato tutto, anche la vita, si rivoltano nella tomba”. 

Poveri partigiani, che vorrebbero solo riposare in pace. Loro che, sì, hanno dato la vita per una cosa seria, non credo avrebbero voglia di partecipare a questa burletta. Perché di burletta si tratta. Il fascismo, il nazismo sì, sono stati cose serie. Ma, appunto, sono stati. Non sono più. Le condizioni politiche, economiche, sociali, culturali che li hanno generati sono roba di cent’anni fa. Un mondo che non c’è più. Tanto varrebbe gridare al pericolo guelfo e alla minaccia ghibellina. Ma c’è qualcuno che nel mito del “pericolo fascista” è nato e cresciuto e sguazza. Perché è una parola magica: basta dare all’altro del fascista e immediatamente ci mettiamo dalla parte dei buoni. Non abbiamo più bisogno di fare proposte politiche sensate, di dare le ragioni delle nostre scelte: siamo antifascisti, che diamine, se non ti basta vuol dire che sei fascista pure tu (i più vecchi capiscono benissimo che sto malamente parafrasando il celebre intervento di Sciascia sui “professionisti dell’antimafia”: ci sono anche i professionisti dell’antifascismo, of course).

Lasciamo da parte gli slogan: i migranti sono un problema serio, le difficoltà di molti ad accoglierli sono un problema serissimo (e il timore dello straniero non è sinonimo di nazismo, checché ne dica la retorica dei centri sociali), la ricerca delle condizioni per una convivenza una questione decisiva. Ancorché — consueta, noiosa annotazione dell’insegnante di storia — vecchia come il mondo: da sempre gli umani si spostano, da sempre gli spostamenti generano conflitti, da sempre dai conflitti nascono soluzioni, nuovi modelli di integrazione, nuove sintesi culturali. Mi pare più interessante ragionare di questo che di quattro ragazzotti che stendono striscioni e altri quattro che inalberano retorica. 

La vera notizia, forse, è che sono solo quattro. Tutti gli altri, grazie a Dio, anziché fare ideologia, lavorano per affrontare i problemi.