Secondo la difesa di Stefano Binda un elemento importante, forse decisivo, per capire cosa abbia portato i giudici ad emettere sentenza di condanna e non di assoluzione è necessario scoprire perché sono stati eliminati “i futili motivi”. Come ha spiegato l’avvocato Martelli, «Dobbiamo capire che peso ha l’eliminazione di futili e abbietti motivi, averli tolti ci incuriosisce molto di più. Abbiamo rivoltato questo processo come un calzino e non c’erano elementi per arrivare ad una condanna. Così com’è questa sentenza è ingiusta». Hanno annunciato di voler fare immediato ricorso presso il secondo grado di giudizio (a Milano, ndr) ma se ne parlerà di certo dopo le vacanze estive visto che verso luglio dovrebbero uscire le motivazioni della tanto discussa sentenza. «Binda ha ringraziato tutti coloro che hanno aiutato a difenderlo. Mi ha detto “ce l’aspettavamo”», spiega l’altro avvocato della difesa, Patrizia Esposito, dopo la sentenza di condanna giunta questo primo pomeriggio. 



DA UNA MADRE A UN’ALTRA MADRE

Ai cronisti presenti davanti al Tribunale di Varese, la mamma di Lidia Macchi ha rilasciato anche un altro brevissimo commento che dimostra il grande spessore e la profonda “empatia” che la mamma di una ragazza uccisa 31 anni fa e fino ad oggi senza alcun condannato può sperimentare nei confronti di un’altra madre. In questo caso, la donna che sta soffrendo per la condanna del figlio Stefano Binda: «da una parte sono contenta, dall’altra penso a una mamma che si trova con un figlio in una situazione così, io l’ho persa ma anche lei», ha detto poche ore fa Paola Bettoni, in lacrime e sorretta dal figlio Alberto. Secondo un avvocato della famiglia Macchi, Daniele Pizzi, la sentenza letta oggi era attesa dopo tanti, troppi anni: «Dopo trent’anni si aspettava una sentenza, penso sia giusto innanzitutto per Lidia, per i suoi familiari e per chi ha avuto modo di conoscerla. Aspettiamo la motivazione – ha aggiunto il legale – per capire che ricostruzione ha dato la Corte. Direi che resta la sofferenza di una persona che non c’è più e quella di una persona condannata al carcere a vita, sebbene in forma non definitiva. Però ritengo che questo momento fosse doveroso per Lidia». 

LA MADRE, “NON CE LA FACCIO A COMMENTARE”

A 31 anni di distanza dalla morte di Lidia Macchi, si è arrivati finalmente a una prima (seppur provvisoria) conclusione dal punto di vista processuale con la condanna all’ergastolo a Stefano Binda, unico sospettato per quel crimine commesso nel lontano 1987. Tuttavia, a far notizia, nella giornata di oggi è stata anche la reazioni della madre della ragazza, Paola Bettoni, che è apparsa visibilmente provata alla lettura della sentenza e non ha voluto commentare con i cronisti presenti in aula e limitandosi a dire “Scusatemi, non ce la faccio”. In seguito, prima di riabbracciare i suo familiari e scoppiare in lacrime assieme al figlio Alberto, è rimasta seduta per qualche minuto prima di accettare di rispondere ad alcune domande e confermando quanto già detto nel corso degli anni: la madre di Lidia Macchi non ha mai invocato la vendetta per l’assassino della figlia e l’ha ribadito anche oggi. “Ho sempre chiesto il colpevole, non uno caso” ha detto la Bettoni, che non ha risposto direttamente alla domanda se anche lei creda che sia davvero Stefano Binda l’assassino: “Una ragazza come Lidia non meritava di morire a questo modo, quindi spero che si siano chiarite un po’ le cose…”. (agg. R. G. Flore)

LA DIFESA, “SENTENZA GIUSTA E INATTESA”

La difesa di Stefano Binda non ci sta e dopo la lettura della sentenza che lo condannano all’ergastolo, replicano così appena fuori dal tribunale di Varese: «Siamo in coscienza convinti che la soluzione adottata sia ingiusta», spiegano Patrizia Esposito e Sergio Martelli, difensori dell’ex compagno di scuola di Lidia Macchi. Una sentenza inaspettata, secondo la difesa, anche se con l’effetto mediatico che ha sempre avuto questo caso «e che ha fatto la storia di un tribunale, sapevo che il peso sarebbe stato notevole, non so poi se questo ha influito», commenta sarcasticamente Martelli. I giudici hanno emesso la loro condanna ma, sempre secondo la parte di Binda, «non hanno usato il buon senso e hanno ritenuto sia colpevole. Noi non abbiamo trovato elementi per una condanna, quindi aspettiamo le motivazioni e vedremo, andremo avanti». Secondo la pg Gualdi invece la sentenza di oggi è una vittoria e «un giorno di sollievo, perché finalmente è stata stabilita una verità processuale che corrisponde a quella storica». Secondo la principale accusatrice dell’unico imputato nel processo Macchi, il giorno di oggi è infine un grande dolore per tutti, «per i familiari della vittima e anche per il colpevole, ma è un affermazione dello Stato e di tutte le persone che hanno voluto la verità». 

ERGASTOLO A STEFANO BINDA

31 anni dopo l’omicidio avvenuto nel boschetto di Cittiglio (Varese) arriva la sentenza che chiude il caso di Lidia Macchi: è stato condannato all’ergastolo Stefano Binda, unico imputato nel processo per omicidio e occultamento di cadavere della povera studentessa uccisa con 29 coltellate il 5 gennaio 1987. Tra 90 giorni verranno fornite le motivazioni della sentenza, depositate dalla Corte d’Assise di Varese e si scoprirà cosa sarà stato giudicato come elemento decisivo per l’incriminazione di Binda, ex compagno di scuola di Lidia e vicino anche lui al gruppo di Comunione e Liberazione di Varese. «Signor presidente, la Corte sa. Non intendo replicare», sono le parole della pg Gemma Gualdi che non ha voluto rilanciare prima della sentenza arrivata pochi minuti fa. L’ergastolo arriva per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai motivi abbietti e futili: in attesa delle prime reazioni della Difesa e dell’Accusa, il caso sembra così chiudersi con la sentenza di primo grado che pone la parole fine alla lunghissima ricerca della verità che per 31anni è rimasta nascosta.

IL CASO È CHIUSO (FORSE)

Le indagini si erano riaperte nel 2015 con il sostituto procuratore di Milano Carmen Manfredda che su nuovi elementi era arrivata all’arresto di Stefano Binda, unico accusato dell’omicidio della conoscente e amica Lidia: decisiva la testimonianza di Patrizia Bianchi, amica dell’imputato, la quale spiega agli inquirenti che in una lettera ricevuta ai tempi da Binda aveva riconosciuto la stessa calligrafia di quella lettera “In morte di un’amica” recapitata in casa dei Macchi il giorno dei funerali di Lidia. La perizia calligrafica confermò la testimonianza anche se con alcuni punti ancora non ben chiariti che avevano fatto sostenere alla Difesa la richiesta legittima di assoluzione da ogni accusa. Il caso è chiuso, ma forse non del tutto: bisognerà attendere le motivazioni per capirne di più e per il quasi certo ricorso in Appello, visto che il processo è stato più volte definito “indiziario” con prove non schiaccianti rese ancora più difficili per il tantissimo tempo trascorso dal delitto. Bisognerà dunque capire cosa e come hanno giudicato i vari indizi i giudici di Varese in attesa di un probabile ritorno in Aula per volontà della difesa: Stefano Binda si dice innocente e avrà modo di difendersi ancora negli eventuali prossimi due gradi di giudizio.